“QUELLO CHE SI TACE E’ PIU VERO DI CIO’ CHE SI DICE”

Che cosa succede quando siamo immersi nella lettura di un libro? Quali sono i meccanismi che scattano nel nostro cervello quando ci troviamo davanti ad un testo scritto?

La lettura è uno di quei processi, insieme al pensiero, ad essere del tutto spontaneo, cioè che la voglia di comprendere un racconto non è legata a nessun limite esterno; infatti il mondo finzionale della lettura di un testo non deve essere confuso con la vita reale. Chi legge un racconto di fantasia si trasofrma in qualcuno che non è più reale, in una figura parallela a quella del narratore, cioè il narratario. In pratica sia l’autore che il lettore, una volta immersi nel mondo della finzione narrativa, diventano figure a loro volta finzionali, rispettivamente quella del narratore e quella del narratario o destinatario del testo in questione. A questo punto del racconto, la nostra mente fa una distinzione in modo naturale, della tipologia di narratore e quindi di racconto che ci troviamo di fronte: si può parlare di narratore omodiegetico, cioè quello che appartiene al mondo della diegesi ed è anche un personaggio del proprio racconto, oppure di narratore extradiegetico, cioè quello che non appartiene al mondo finzionale e racconta in modo distaccato gli eventi e le azioni dei personaggi. Ovviamente non bisogna confondere la figura del narratore con quella dell’autore, perché una è legata al mondo della finzione e l’altra appartiene al mondo reale. A volte però l’autore può combaciare con il narratore, solo nel caso in cui non si tratti di un racconto finzionale, bensì di un’autobiografia, di un diario personale o di un saggio storico.

Un altro passaggio tramite il quale il nostro pensiero passa in rassegna le diverse categorie narrative è quello del modo in cui i personaggi vengono raffigurati nel racconto: in primo luogo bisogna sottolineare il fatto che per i narratari (lettori) c’è una corrispondenza assolutamente diretta e naturale tra mondo finzionale e reale, in quanto le situazioni rappresentate in un racconto finzionale ricordano esattamente quelle reali e di conseguenza sono più comprensibili perché il lettore fa un paragone basato sulla somiglianza. Quindi il lettore capisce se la narrazione di una determinata scena è compiuta direttamente dal personaggio tramite le proprie battute (discorso diretto libero\legato), oppure se si tratta di un discorso narrato o indiretto, cioè se il narratore si è preso la responsabilità di rielaborare in maggiore o minore quantità il discorso pensato o detto dal personaggio in questione. Ma, quindi, se il discorso del personaggio viene “modificato” dall’interferenza del narratore, come può il lettore affidarsi del tutto a lui e fidarsi delle sue parole? Come può risultare un narratore attendibile o meno?

In base al discorso e alle considerazioni effettuate in corso d’opera, il narratario si fa un’idea anche del narratore, nel senso che dal modo in cui racconta la storia capisce se è attendibile o meno e quindi se continuare la lettura. Nel caso in cui non fosse attendibile, il narratore stringe un patto intuitivo con il lettore e lo fa partecipare volutamente alla finzione.

Ogni volta che si legge un racconto bisogna fare queste distinzioni per comprendere la storia?

Ovviamente no, in primo luogo perché la nostra mente è predisposta ad analizzare come imitazione di qualcosa di familiare ciò che è di nuova provenienza; in secondo luogo questa tipologia di analisi dettagliata è effettuata da quella branchia della letteratura chiamata narratologia, in particolare quella strutturalista, che dona al mondo letterario un sistema di regole per diluirsi nell’oceano dei pensieri autoriali.

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