L’estate del 2013 verrà ricordata come una delle più calde che il mondo abbia mai visto. Grazie alla sua collaborazione col Guardian, Edward Snowden è riuscito a rendere il mondo consapevole di quello che l’NSA (National Security Agency) stava facendo in tutto il mondo. Per renderla semplice, questa agenzia di stampo U.S.A. stava spiando sistematicamente cittadini, governi e capi di stato stranieri, sia alleati che nemici. Questa forte violazione della privacy non ha condotto solo ad una crisi diplomatica internazionale, ma anche ha rafforzato la preoccupazione dell’opinione pubblica sulla propria privacy online.
Stando all’inglese Telegraph non siamo mai stati così preoccupati e gelosi dei nostri dati personali: più del 60% dei cittadini inglesi ritiene che il potere di governo/i e compagnie private dovrebbe essere ridotto al minimo. Perciò, cookies, beacon e flash cookies dovrebbero essere limitati con ogni mezzo a disposizione degli utenti. Tuttavia è impossibile per i governi, europei specialmente, riuscire a proteggere la privacy dei suoi cittadini e allo stesso tempo permettere alle compagnie di fare il loro lavoro attraverso lo studio dei consumatori. Scoprire il comportamento dei consumatori e le loro abitudini, Indovinare i loro bisogni e fornire loro risposte e prodotti su misura è diventato vitale per ogni tipo di compagnia in questi anni e, fino ad ora, sembra essere diventato uno dei modi migliori per non affondare nel mare di Internet. Ad essere onesti, le industrie e i brand hanno sempre avuto bisogno di traccia e comprendere il comportamento dei consumatori in mille modi diversi: pagamenti via carta, abbonamenti, focus group, partecipant observation e molto altro. Tuttavia, va riconosciuto che la quantità di dati raccolti attraverso piattaforme come i social media è assolutamente inquietante e fuori controllo.
Detto questo, come possono i governi proteggere i loro cittadini senza eliminare del tutto il sistema di tracciamento? Nel 2011 la Commissione Europea ha ideato la cosiddetta “Cookies Law”: ogni sito web che usa i profiling cookies (utili a creare un profilo del consumatore e a inviargli dei messaggi adatti alle sue esigenze) deve mettere questa caratteristica in evidenza attraverso un banner pop up e permettere all’utente di “accettare la condizione” e leggere la legge. L’unico modo di evitare i cookie è quello di uscire dal sito web. Tuttavia mi sembra abbastanza chiaro quindi che questo tipo di approccio non aiuti minimamente a proteggere la privacy dei cittadini: se da un lato porta alla luce il problema e informa gli utenti, dall’altro non solo non protegge veramente gli utenti ma rischia di far crollare il business di tutti quei piccoli blog siti web che basano le entrate sui banner.
Quale può essere quindi una vera soluzione? Prima di tutto, educare gli utenti e le compagnie a fidarsi gli uni degli altri potrebbe essere un buon inizio. I brand, le compagnie e chi investe in pubblicità dovrebbe ricordare che i suoi utenti sono più svegli e accorti tecnologicamente parlando e vogliono un rapporto che sia costruito sulla fiducia e sulla chiarezza. Essere invasivi e tracciare ogni tipo di attività online farà sentire gli utenti sfruttati e perennemente sotto tiro. Perciò suggerirei di essere meno ossessionati dalll’idea dei “big data” e di fare conto su altre risorse creative. Dall’altro lato, i consumatori dovrebbero rendersi conto che una conoscenza così profonda da parte di un brand può aiutare a creare prodotti e servizi più vicini ai loro bisogni. Questo tipo di nuove tecnologie potrebbero effettivamente risolvere problemi invece che creare bisogni, come sosteneva Adorno.
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