Le strade sono di tutti e di nessuno, dicono. Adulti e bambini, locali e turisti, lavoratori e studenti condividono lo stesso pavimento d’asfalto per le vie della città. I più vanno di fretta, per loro è solo un transito da luogo chiuso a luogo chiuso, che sia casa propria, l’ufficio o la scuola. Ripetono per lo più lo stesso percorso tutti i giorni, ma lo lasciano incolto come se non fosse realmente cosa loro. Lo interiorizzano senza accorgersene: le immagini, i suoni e gli odori restano impressi nella loro memoria fino a costituire la base del loro stesso pensiero. La frenesia della routine non gli permette di fermarsi a constatare la qualità del marciapiede che calpestano, si fermano solo a casa. Buttano mozziconi di sigaretta fuori e, rientrati la sera, spazzano il pavimento della cucina dalle briciole. Nessuna ingiustizia, tanto la strada non è di nessuno, ma è anche di tutti, infatti la sera passa la vettura automatica a pulire. Nessuna ingiustizia se i più non hanno tempo di prendersi cura del suolo dove camminano, perché c’è una minoranza in ombra che la strada la vive in maniera davvero autentica. Ci sono i senza tetto, i barboni e gli ubriaconi che la prendono come un’abitazione a cielo aperto e un po’ coperto quando c’è brutto tempo. Ci sono gli artisti di strada, i venditori ambulanti e le prostitute che la attraversano inquieti e disponibili, come fosse il loro ufficio.
Una donna chiede l’elemosina sul ponte pedonale che sormonta la ferrovia. Non vive lì, ma ci passa gran parte delle giornate. Si può dire che sia il suo salotto, posiziona tutte le volte la sedia nello stesso punto e ci appoggia sopra un bicchiere di plastica ed un cartello di carta in cui scrive che è povera ed ha famiglia. I più, i frenetici insomma, mentre le passano di fianco la percepiscono come una macchia sfocata che fa parte del muro. Coloro a cui capita, un giorno qualunque, di avere meno fretta del solito, rimangono colpiti dal suo sorriso. Lei gli chiede qualche soldo e in un attimo fanno amicizia. È una donna gentile, così chiunque ci parli la prende in simpatia e quando la rivede le dà dei soldi senza neanche farseli chiedere. Col passare del tempo molti prendono addirittura l’abitudine di rallentare verso il punto in cui c’è la sua sedia.
Dato che il ponte è il suo salotto e i passanti non hanno cura di dove camminano, né la vettura automatica della pulizia è efficiente, lei si porta dietro una scopa e una paletta. Si dà da fare spazzando il pavimento di chiunque dallo sporco di non so chi. L’idea le venne dopo un acquazzone. Il suolo di quel ponte è leggermente convesso al centro, così l’acqua si era accumulata sui lati, proprio dove lei era solita mettere la sedia. I netturbini erano passati come al solito con la vettura automatica, ma tolta la spazzatura ingombrante, l’acqua restava e creava uno stagno di sporcizia. Chi l’avrebbe potuta tirare fuori da quel pasticcio se non la sua propria, faticosa e meticolosa pulizia? Da quel giorno non riesce più a fare a meno di prendersi cura di quel pezzo di città che, senza permesso e senza pretesa, occupa giorno dopo giorno da cinque anni a questa parte. Si può dire che la strada sia più sua che di altri da un certo punto di vista. Lei probabilmente non se lo chiede neanche, ma in qualche modo invita i frenetici a passarci un po’ più lentamente, per coglierne la magia e contribuire attivamente al suo ciclo vitale.