di Diego Maroni
Art. 48, comma 2: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”. Tra tutti i diritti tutelati dalla Costituzione della Repubblica Italiana, quello di voto è sicuramente tra i più particolari. Lo si è visto recentemente con la bassa affluenza alle urne in occasione del referendum del 17 aprile, che conferma per giunta una tendenza discendente avviatasi ormai da tempo: gli italiani stanno smettendo di votare, rinunciando così a un diritto che gli viene garantito per legge.
Come a ogni consultazione elettorale torna infatti attuale il tema della partecipazione: se, come sempre, sono stati numerosi gli appelli al voto da parte dei promotori del quesito, a fare notizia sono stati Renzi e Napolitano, entrambi pronunciatisi a favore dell’astensione in occasione del referendum. Quando le dichiarazioni del Capo del Governo e dell’ex Presidente della Repubblica sono state rese note, l’opinione pubblica si è infiammata, polarizzandosi sull’illegittimità o meno di simili parole.
Il dilemma messo in luce da questo episodio è interessante in quanto riesce a evidenziare le due interpretazioni che si possono dare del diritto: una che potrebbe essere chiamata logico-razionale e un’altra etico-morale. In parole povere, quanto Renzi e Napolitano sono davvero colpevoli di ciò di cui sono stati accusati?
Come è stato fatto notare più volte il Testo Unico delle Leggi Elettorali, all’articolo 98, vieta ai pubblici ufficiali che si trovano nell’esercizio delle proprie funzioni di orientare in alcun modo il giudizio dell’elettorato, compresa l’ipotesi di astensione. Rilasciare opinioni durante un’intervista, tuttavia, non rientra esplicitamente tra le funzioni di un pubblico ufficiale, da che deriva la non sussistenza dell’accusa. Un’interpretazione pura e razionale della legge non serve a capire perché l’invito all’astensione ci fa storcere così tanto il naso. Né Renzi né Napolitano avrebbero infatti, almeno apparentemente, infranto alcuna norma.
Per capire cos’ha causato la tempesta mediatica degli ultimi giorni bisogna guardare oltre la semplice legge e considerare invece il “senso dello Stato”. Viviamo in un Paese democratico, in cui il popolo dovrebbe essere cioè contemporaneamente perno e motore della macchina dello Stato. Questo potere si manifesta solo nel momento in cui i cittadini sono chiamati alle urne per le elezioni o per un referendum. È lì che entra in gioco il “dovere civico” di cui parla l’articolo 48. Un dovere civico è, più che un dovere vero e proprio, una norma morale che sarebbe opportuno seguire, ma la cui mancata osservanza non implica alcuna sanzione.
Non dimentichiamo che la nostra Carta Costituzionale nasce nell’immediato dopoguerra a seguito del ventennio fascista, durante il quale il diritto di voto aveva perso pressoché ogni significato. Non è difficile cogliere, in quest’ottica, la densità che i costituenti conferirono alle parole “dovere civico”: in queste due parole si condensa tutta la filosofia alla base dello Stato democratico ancora nascente, in cui ogni elettore è chiamato a fare la propria parte. Il voto è l’atto che determina la reale partecipazione del cittadino alla cosa pubblica; rinunciare alla presenza alle urne, sebbene sia anche questo un diritto sacrosanto, significa in qualche modo fare un passo indietro e scegliere di non scegliere.
Se però l’astensione di un cittadino qualunque è in qualche modo giustificabile, lo stesso non si può dire dell’invito ad astenersi da parte di un Capo di Governo e di un ex Capo dello Stato. Dipendendo dalla struttura democratica dello Stato, le istituzioni dovrebbero puntare ad allargare il più possibile la base elettorale su cui si fonda l’apparato statale. E riprendendo in causa il già citato senso dello Stato, con cui si intende la metabolizzazione e interiorizzazione da parte di un individuo dell’insieme di valori che lo Stato rappresenta, viene da chiedersi perché due persone insignite di cariche così importanti ne dimostrino una simile mancanza.
Non importa in che misura queste dichiarazioni abbiano influito sull’affluenza di domenica. Il problema è, purtroppo, più profondo: si tratta di una visione della politica sempre più votata all’opportunità e sempre meno all’etica. Si tratta di una crisi a cui, per ora, pare non esserci soluzione, e che lascia decisamente molto amaro in bocca.