La tenebrosa leggenda del cuore mangiato ha affascinato molte menti e spesso ritorna in letteratura. Vediamo di cosa si tratta e perché ha avuto un tale successo nel corso dei secoli.
Questa leggenda ha origini antiche, rituali, magico-sacrali. Nella letteratura antica non vi sono tracce di questo motivo, che emerge invece in quella letteratura medioevale figlia del folklore. La tradizione infatti rappresentava il cuore come sede dell’energia vitale e del coraggio.
Il tema del cuore mangiato si sviluppa in diversi modi, a seconda degli autori e delle epoche storiche in cui sono immersi. Inizialmente viene affiancato all’ambito sacrale: i sacerdoti offrono il cuore in sacrificio agli dei. Successivamente rinveniamo manoscritti in cui si impone una sfumatura magico-rituale: mangiare il cuore del morto è un rito per placare il defunto e che permette di esorcizzare la ritorsione, proprio perché, cibandosi dell’elemento più nobile dell’ucciso, ci si identifica con quest’ultimo. Nella letteratura cavalleresca-novellistica inizia a prender piede la visione di odio e, soprattutto, vendetta – una versione molto affascinante. Infine, la metafora del cuore mangiato sbarca anche nella letteratura del Trecento italiano, in primo luogo con Dante Alighieri. Nella Vita Nova compare il gesto del cuore mangiato, ma viene letto in chiave allegorica come un atto di amore immerso in un’atmosfera mistica e, prevalentemente, religiosa. A Dante appare, in sogno, Beatrice, la quale gli strappa e gli mangia il cuore ardente di amore, vivo. Questo è un atto espiatorio, arricchito dall’autore di allegorie complesse.
Parliamo ora del grande periodo della letteratura cavalleresca che ha affascinato e coinvolto tanti e che merita un approfondimento. Il tema compare prima solo accennato nel Lai Guirun del Roman de Tristan di Thomas, della seconda metà del XII secolo. In questo componimento si parla della storia di amore tra Tristano e Isotta: quest’ultima intona un lai bretone antico in cui si narra di una storia di amore, di gelosia, di crudeltà, di inganno e di vendetta – la vicenda è proprio quella di un signore che fa mangiare alla sua donna il cuore dell’amante. Questa tematica bretone influenza la formazione di Vida di Guillem de Cabestaing, che nel Duecento circola in Francia. Successivamente viene ripresa con poche variazioni nel Roman du Castelain de Couci (dopo il 1252) dove vengono elencati i metodi e le tecniche da seguire per preparare il cuore, che deve essere essiccato e servito con salse di galline e capponi.
Guillem de Cabestaing (1162/1175 – 1212) era un trovatore e cavaliere spagnolo. Originario della contea del Rossiglione, morì probabilmente nella battaglia di Las Navas de Tolosa, anche se le leggende dei trovatori sulla sua vita raccontano la sua morte in modo molto più crudo, crudele e romanzato. Secondo quanto contenuto nella sua Vida, Guillem era amante di Seremonda, moglie del suo signore Raimondo di Rossiglione. Quest’ultimo, venuto a sapere del tradimento da parte di entrambi, uccise il trovatore durante una battuta di caccia, ne estirpò il cuore e lo fece cucinare, con salse e fatto arrosto, per servirlo a cena a sua moglie. Dopo essersene cibata e dopo che il marito le svelò con cosa avesse saziato la sua fame, ella si buttò dalla finestra morendo. Quando il re di Aragona venne a conoscenza dell’accaduto, imprigionò il signore del Rossiglione, pose il corpo defunto dei due amanti nel sarcofago e ci fece incidere sopra la loro storia, che divenne poi meta di grandi pellegrinaggi. Ovviamente questo è un racconto di finzione narrativa, creato dai trovatori per incarnare così la vittima d’amore. Questo contribuisce enormemente alla fama, alla lode e alla celebrazione di Guillem, permettendo di preservare la sua memoria a lungo nei secoli seguenti: orme della leggenda del cuore mangiato si sono conservate nella Vita Nova di Dante Alighieri, nel Decameron di Boccaccio, nei Trionfi di Francesco Petrarca e in altre famose opere appartenenti al periodo medievale.