Van Gogh è stato suicidato

Parliamo pure della buona salute mentale di van Gogh il quale, in tutta la sua vita, si è fatto cuocere solo una mano e non ha fatto altro, per il resto, che mozzarsi una volta l’orecchio sinistro, in un mondo in cui si mangia ogni giorno vagina cotta in salsa verde o sesso di neonato flagellato e aizzato alla rabbia, colto così com’è all’uscita dal sesso materno…”

Questo brano è tratto dall’opera di Antonin Artaud, Van Gogh il suicidato della società, testo scritto e pubblicato nel 1947 dopo diversi anni di internamento in manicomio dell’autore.
L’opera di Artaud è violenta, sfacciata; è l’autore stesso a parlare in prima persona vomitando letteralmente addosso al pubblico la propria rabbia nei confronti dei medici e di una società che, come fu per van Gogh, lo aveva etichettato come folle e quindi reietto, richiuso per anni un manicomio, sottoposto a ripetuti elettroshock e drogato con chissà quante sostanze di vario genere.

Ho avuto recentemente l’occasione di vedere quest’opera messa in scena in una piccola rappresentazione tenutasi presso l’Associazione culturale Atame Ars (http://atamears.altervista.org/index.html) che si occupa di teatro, teatro-terapia e promuove diverse attività culturali, con sede a Sesto San Giovanni.
La rappresentazione è una lettura/concerto della crudeltà messa in scena da Antonello Cassinotti e Giancarlo Locatelli, rispettivamente attore e musicista, che intorno a quest’opera hanno costruito un proprio progetto: rappresentarla cinquantaquattro volte, tanti quanti sono i semitoni che Giancarlo Locatelli riesce a raggiungere con il clarinetto con il quale accompagna e completa al tempo stesso la straordinaria recitazione di Antonello Cassinotti.

Prima di ogni messa in scena viene scelto casualmente un semitono e le due note vengono tenute per tutta la durata del pezzo; mentre la esegue, il musicista si muove nello spazio seguendo il percorso che la musica stessa gli indica.
Quella a cui ho assistito era la ventiduesima rappresentazione.
L’impressione iniziale che si ha guardando un’opera del genere è di stupore: si rimane spiazzati nel trovarsi in una piccola sala di fronte ad un clarinettista che suona due sole note camminando per la stanza, e un attore vestito di rosso che interpreta un Artaud così arrabbiato da sembrare folle lui stesso, alternando due voci differenti per rappresentare l’autore-protagonista e lo psichiatra con cui parla, che si sporca il viso di vernice rossa, che urla, si alza, trema e si risiede; ci si sente molto a disagio perchè viene da chiedersi quale debba essere la reazione giusta.
Ma la reazione giusta non c’è mai.

Alla fine ciò che rimane addosso è disagio, che è – a mio parere- perfetto per rendere l’intento dell’opera: il disagio che Artaud e il suo protagonista Van Gogh hanno vissuto tutta la vita sentendosi rifiutati dalla società in cui sono esistiti, perchè è questo il tema centrale: Van Gogh non si è suicidato perchè pazzo, perchè si sentiva incompreso, Van Gogh è stato suicidato da chi l’ha voluto convincere di essere fuori dal senso comune del vivere, perchè in possesso di una sensibilità eccezionale e quindi difficile da comprendere e accettare da parte del resto del mondo.

 

Credits

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.