“Nutrirsi” non è evidentemente sinonimo di “mangiare”. La differenza risiede nel legame indissolubile e fisiologico tra cibo ed emozione. Anatomicamente parlando, infatti, il sistema limbico – in particolare l’amigdala – coordina insieme all’ipotalamo sia la regolazione del comportamento alimentare, che l’espressione delle emozioni di rabbia e paura, nonché il controllo della motivazione e della sessualità.
Il cibo, quindi, esula dalla mera accezione di mezzo di nutrimento in quanto “condito” da diversi aspetti psicologici e sociali. Molte abitudini alimentari possono derivare da retaggi culturali o da codici e rituali di comportamento – pensiamo ad esempio ai compleanni, alle feste religiose o ai matrimoni. Allo stesso tempo desiderio, amore, piacere, soddisfazione… ma anche diffidenza, rifiuto, ansia, depressione, noia, solitudine, rabbia, stress e insicurezza, sono componenti in gioco nell’alimentazione che spesso si alternano nella stessa persona.
A chi non è mai capitato di gradire un cibo che rievoca un tenero ricordo d’infanzia e di rifiutarne uno che è invece associato ad un momento non troppo felice? Quante volte ci siamo seduti a tavola spinti da un reale senso di fame e quante altre invece lo abbiamo fatto solo perché attratti da un profumo piacevole, da un piatto esteticamente invitante o da un contesto conviviale rilassante e coinvolgente? Mangiare, quindi, è l’espressione di un appetito che non si limita a soddisfare la fame, ma coinvolge gli impulsi più istintivi della vita affettiva. E’ un mezzo per procurarsi piacere, per calmare uno stato d’ansia, per ritagliarsi un momento di serenità e pace tra gli stress della routine quotidiana spesso soffocante, per rifugiarsi in una confortante abitudine, per colmare la propria solitudine e il non-senso che a volte sembra connotare la nostra esistenza, per socializzare e stare insieme. Mangiare è probabilmente uno dei modi più facili e comodi per procurarsi emozioni positive, per esprimere un bisogno d’amore o per sedurre. L’associazione tra amore, nutrimento e cibo nasce dalla nostra infanzia: i bambini imparano a conoscere il mondo usando la bocca.
È anche vero, tuttavia, che le stesse emozioni possono giocare un ruolo altrettanto determinante nella maggior parte dei disturbi alimentari, specie se aggravate da altri fattori connessi alle esperienze evolutive della personalità, a cambiamenti dettati dalla crescita o dal passaggio da una fase all’altra della vita o a difficoltose situazioni familiari. Mangiare può essere così collegato a spiacevoli sensazioni di ansia e può arrivare anche ad esprimere malessere interiore o inquietudine. Altre volte ancora il mangiare – o il rifiuto di mangiare – vengono considerati come un mezzo per gestire la rabbia repressa, difficilmente canalizzabile in altro modo. Il primo segnale dell’ evoluzione negativa di un atteggiamento alimentare è dato dal cambiamento del carattere e del comportamento generale della persona. Chi soffre di disturbi alimentari associa situazioni di disagio all’atto del mangiare e soffre per la difficile relazione con il cibo, si innervosisce e si arrabbia, ma non riesce a cambiare il proprio atteggiamento.
Molti sono dunque i collegamenti tra cibo ed emozioni, a volte costruttivi altre volte distruttivi. In ogni caso l’equilibrio alimentare riflette il raggiungimento di un equilibrio personale ed intimo. Il nostro corpo ci parla sempre, spesso urla in silenzio per attirare la nostra attenzione e per guidarci verso una maggiore consapevolezza di noi stessi, delle nostre emozioni e dei nostri bisogni. La soluzione contro ogni forma di eccesso sta nell’ascoltare in maniera costante e amorevole, tentando di individuare ed eliminare i condizionamenti e le convinzioni – presuntuose e limitanti – che non ci permettono di essere felici ed in armonia con noi stessi.
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