La fame di suolo agrario è divenuta l’origine di un fenomeno molto diffuso al giorno d’oggi: il Land Grabbing – letteralmente accaparramento di terre, da qualcuno definito “Il colonialismo del XX secolo” – viene praticato principalmente da Governi sviluppati e da grandi compagnie agroalimentari di livello internazionale.
L’ONG Actionaid stima che negli ultimi quindici anni circa sessanta milioni di ettari – ovviamente quasi tutti appartenenti a Paesi del Terzo Mondo – siano stati soggetti a tale fenomeno. Ma per quali scopi? Non solo la produzione alimentare ma anche quella di biocarburanti.
Il fenomeno del Land Grabbing, in termini di quantità di terra acquistata, esplode negli anni 2007- 2008: decuplicandosi, esso ha portato in breve tempo alla crescita vertiginosa del prezzo dei cereali ed in generale dei generi alimentari, e come conseguenza, ad aumentare il livello di povertà e l’impossibilità di nutrirsi per le popolazioni locali. E’ vero che i biocarburanti rappresentano una risorsa energetica rinnovabile e sono soggetti ad incentivi, ma non sarebbe forse meglio se la loro produzione avvenisse in maniera più responsabile e non a spese di altri esseri umani?
Prendiamo ad esempio il Mozambico, Paese africano fonte di speranza per il Continente, in cui circa l’80% della popolazione è dedita alla coltivazione. Qui le terre non vengono vendute ma date in concessione – a prezzi davvero irrisori per il mondo occidentale -, spesso e volentieri senza preoccuparsi di chiedere o informare gli abitanti locali. In effetti esistono leggi che tutelano se pure minimamente i contadini, tuttavia questi spesso non ne sono a conoscenza e sono convinti di non potersi opporre in alcun modo quando la Terra viene tolta loro e data in concessione a grandi società o Paesi stranieri, perché supportati dal Governo locale. In queste realtà sono molto importanti le istituzioni legali non governative che cercano di supportare i contadini in questa lotta ma purtroppo ciò non è sufficiente: così può capitare che un contadino e la sua famiglia, che sopravvivono grazie all’agricoltura, si vedano togliere le terre dal Governo e quindi rimangano senza alcuna fonte di nutrimento – neppure mi sogno di parlare di guadagno, dato che la povertà di queste persone è tale da costringerle a coltivare per cibarsi e sopravvivere, precludendo ogni possibilità di avere beni accessori -.
E’ importante capire che il Land Grabbing viene praticato, oltre che da grandi società private, solo ed esclusivamente da Paesi cosiddetti sviluppati e che lo fanno non certo per il bisogno di garantirsi la sicurezza alimentare, quanto per business. Quali sono le conseguenze economiche, ambientali e sociali che questo comporta? Si tratta di conseguenze negative, dato che la maggior parte dei profitti delle terre “rubate” non rimangono nel Paese ma vanno all’estero, la manodopera locale è sottopagata e di conseguenza la comunità impoverita. Inoltre spesso vengono richiesti ampi appezzamenti di terra, che richiedono un ampio disboscamento e quando la terra viene concessa l’abbondante utilizzo di prodotti chimici, fertilizzanti, pesticidi per la coltivazione da parte delle Multinazionali porta ad un impoverimento ed inaridimento dei terreni, che ovviamente grava poi sugli autoctoni. Dal punto di vista dell’impatto sociale infine, cosa potrà accadere quando impoveriamo una società togliendole le terre di cui vive? Probabilmente, chi ne ha la possibilità, cercherà un altro luogo in cui sopravvivere, rifarsi una vita, cercare fortuna e così magari troveremo alcune delle persone che abbiamo impoverito, proprio sulle nostre coste come clandestini che fuggono dalla fame e dalla miseria che proprio noi stiamo creando nei loro Paesi. Arrivati a questo punto, dopo qualche slogan politico inneggiante al fatto che non possiamo più accogliere nessuno perché “questa è casa nostra, non ce n’è abbastanza per tutti, prima vengono gli italiani che muoiono di fame” – e forse proprio per questo motivo abbiamo un tasso di obesità preoccupante nel mondo occidentale -, li prenderemo e li rimanderemo a casa loro, così che possano tornare a vivere impotenti nella miseria che inesorabilmente creiamo a casa loro. Forse, e dico forse, sarebbe il caso di dire basta.
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