Secondo alcune stime degli ultimi tre anni, ogni italiano maschio ha perso lo scorso anno circa 20 giorni di vita per mortalità evitabile. Ogni femmina ha invece perso dieci giorni per lo stesso motivo. La buona notizia è che questi giorni perduti sono in diminuzione rispetto al triennio precedente.
“Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.”
Come affermava il poeta romano Trilussa (1871-1950) in una delle sue poesie più conosciute, la stratistica è una disciplina particolare, che spesso per analizzare un problema lo divide in tanti pezzettini e lo distribuisce così all’intera popolazione.
Questo procedimento può essere applicato persino alla durata della vita, elaborando un parametro interessante di benessere e efficienza del sistema sanitario di un paese: i giorni di vita perduti pro-capite per decessi contrastabili con interventi di sanità pubblica. Questi, a partire dal 2013, vengono calcolati ogni anno dai ricercatori del progetto “MEV(i)”, Mortalità EVitabile (con intelligenza) sulla base dei dati sulle cause di morte forniti dalle province italiane.
Fra le cosiddette “morti evitabili” vengono annoverati tutti quei decessi per i quali si ritiene che una corretta prevenzione, basata sulla diagnosi precoce, sull’educazione degli individui coinvolti o sull’applicazione più attenta di norme di igiene, avrebbe potuto fare la differenza.
Il rapporto MEV(i) di quest’anno, basato sui dati del triennio 2011-2013, si sofferma in particolare su quattro categorie: tumori maligni di mammella e utero; tumori maligni di trachea, polmoni e bronchi; incidenti stradali; suicidi e lesioni autoinflitte.
Sulla prima categoria spesso si può ancora intervenire magari puntando su interventi di screening come la mammografia e il PAP test, spesso consigliati in determinate fasce di età, ma non ovunque garantiti o imposti con la stessa insistenza e gratuità.
Per quanto riguarda la seconda categoria l’”intelligenza” sarebbe poter intervenire soprattutto su fattori di rischio, primo fra tutti il fumo. Su questo punto sembra aver fatto molto già la legge contro il fumo nei luoghi pubblici del 2003, ma ancora sembra esserci molto su cui lavorare. Altri fattori di rischio evitabili e contestati sono le esposizioni professionali, come quella degli operai dell’Ilva di Taranto.
Gli incidenti mortali continuano purtroppo a coivolgere soprattutto ragazzi fra i 20 e i 24 anni (come le ragazze Erasmus nell’incidente del bus avvenuto in Spagna): l’imposizione dell’uso del casco in moto e delle cinture di sicurezza (anche sui sedili poteriori) ha assunto un ruolo importante nella diminuzione di questi decessi, anche se il numero resta elevato (8936 maschi e 2631 femmine) , e troppo spesso dovuto all’assunzione di alcol prima della guida.
Il picco di età delle morti per suicidio e lesioni autoindotte si ha invece intorno fra i 35 e i 54 anni, rapperentando circa il 35% della decina di migliaia di individui coinvolti.
Di particolare interesse può essere la classifica delle regioni in cui l’ “intelligenza” è riuscita a contrastare maggiormente queste morti. I giorni di vita perduti pro-capite per decessi contrastabili con interventi di sanità pubblica sono minori in Toscana per i maschi e in Veneto per le femmine. In ultima posizione, con un numero maggiore di decessi evitabili è invece la Campania, sia per il sessso femminile che per quello maschile. La disparità nord sud sembra non essere così marcata come ci si aspetterebbe: fra le province più meritevoli spicca il centro, con Prato e Ascoli Piceno.
PER SAPERNE DI PIU’:
http://www.mortalitaevitabile.it/_mevi/2016/MEVi2016-rapporto.pdf
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