Gli anni ’10 segnano una transizione verso un nuovo modo di vivere e di intendere il rapporto umano: i boom di internet e della “smart-crazia” sono ormai realtà che riguardano almeno tutto il mondo occidentale. Cambiamenti di tale portata sono destinati a segnare un punto di svolta netto nell’analisi della società moderna. Tra le numerosissime conseguenze che questa massiccia informatizzazione sta generando ce n’è una particolarmente degna di nota: il nuovo significato della comicità.
L’umorismo, lo spirito e l’ironia sono da sempre compagni di viaggio dell’umanità: dalla commedia del teatro greco ai film di Woody Allen. Sarebbe tuttavia sbagliato dire che il fine dell’umorismo non abbia mai subito variazioni: ogni opera comica ha un preciso significato solo se correlata al proprio contesto storico-culturale essendo la vis comica soggetta, proprio come la società, a una continua evoluzione.
Cardine del meccanismo comico è il ragionamento umano: tanto del mittente (che lo sfrutta per ideare e codificare una situazione comica), quanto del destinatario (che invece deve decodificare il messaggio per raggiungerne il senso connotativo). A ben pensare, infatti, non esiste una situazione divertente in sé: è sempre il pubblico ad assegnarle un certo significato che non è mai quello apparente. È grazie alla consapevolezza di questi meccanismi che nasce la satira, a cui lo spirito critico nei confronti della realtà contemporanea conferisce uno fra i più ambiziosi compiti che l’arte possa proporsi: influenzare la mentalità del fruitore, facendolo ragionare su un argomento particolare.
Tornando ad oggi, in che modo la diffusione capillare di Internet può aver modificato la funzione della risata? La rete ha contratto, fin quasi a eliminarle, le distanze spazio-temporali che hanno contraddistinto il mondo fino a non troppi decenni fa. Il mondo odierno è votato all’immediatezza, alla velocità, il che rende obsoleta ogni pratica che richieda una mediazione intellettuale da parte del destinatario. Si vive in un continuo hic et nunc in cui l’idea di dover sprecare del tempo per ragionare e cercare un significato in qualcosa che si ha di fronte appare troppo impegnativo.
In quest’ottica si sviluppa il nuovo ruolo della comicità, tutto incentrato sul dare al pubblico un’occasione non tanto di riflessione quanto più di alienazione, di momentaneo distacco dalla frenesia del mondo che ci circonda. Quante volte si sceglie un film da vedere o un libro da leggere col semplice desiderio di “spegnere il cervello”? In questa espressione, che pare uscita direttamente dal linguaggio orwelliano di 1984, si riflette quello che ci si aspetta oggi da una qualsiasi opera che si dichiari comica: la comicità è intesa nel suo significato più puro e ingenuo di qualcosa capace di “di-vertire”, ossia deviare, rivolgere da un’altra parte. Smettere di guardare in faccia la realtà, cercare di non pensarci.
Cercare di capire se la colpa sia da dare a un pubblico sempre più massificato e disinteressato a messaggi che richiedano da parte loro un qualsivoglia sforzo analitico oppure a una classe di autori e comici, di ogni ambito mediatico, sempre meno convinti dell’efficacia di armi quali sono la satira e l’ironia ben ragionate sarebbe come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il problema non è dare la colpa a uno dei due gruppi ma sforzarsi di vedere la realtà dei fatti, realizzare la povertà di contenuti (qui un esempio) della comicità odierna e sforzarsi di prestare più attenzione a quei reduci che, chissà se per rispetto verso se stessi o verso il pubblico, continuano a svolgere un lavoro degno di essere definito comico.
La grande contraddizione di questo decennio rischia di essere l’aver accesso a mezzi con un potenziale comunicativo inimmaginabile fino alla fine del secolo scorso e tuttavia non riuscire, avendone perso l’abitudine, a sfruttare questa opportunità per scopi che abbiano un minimo di valore.
La scelta, ovviamente, è solo nostra.
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