I combattimenti tra tori e uomini o tori e altri animali fanno parte di un’usanza molto antica detta tauromachia: risale al secondo millennio a.C. ed era diffusa in tutto il Mediterraneo. Nel XIV secolo, si sviluppò la pratica che divenne la più simile alla corrida tradizionale di oggi, in cui i nobili a cavallo erano aiutati dai loro servitori a dare sfoggio al loro onore, affrontando il toro e uccidendolo.
In seguito infatti, i nobili sarebbero diventati i cosiddetti picadores, i quali sempre a cavallo, hanno lo scopo di infliggere gravi ferite all’animale e i loro servi le figure principali, i matador, coloro che – come tutti sapranno – sventolano il drappo rosso per attirare il toro, ormai esausto, e infine pongono fine al loro dolore, trapassandoli con una spada dritta al cuore.
In Spagna, con il susseguirsi di capi dello stato contrari o favorevoli, la corrida venne spesso abolita e altrettante volte ripresa. Sotto la dittatura di Franco, questa pratica tradizionale venne svolta all’oscuro del mondo, per evitare che la Spagna risentisse di una reputazione violenta.
In questo periodo e negli anni seguenti, però, crebbe la popolarità di questo rituale, grazie alla letteratura del tempo che ne esaltava le caratteristiche salienti. Per esempio, Ernest Hemingway trasse dalla morte del toro nella corrida una visione del sublime e vedeva il torero come la personificazione del coraggio, un uomo pronto al rischio di accostarsi alla morte per acquistare un grande onore.
Per gli appassionati, rimane una sfida emozionante tra uomo e natura, tra vita e morte e in molti ancora sventolano i loro fazzoletti bianchi alla morte dell’ultimo toro della corrida, per esprimere il proprio entusiasmo.
La profonda tradizione che c’è dietro può affascinare, ma nulla può dissipare l’orrore di questo spettacolo cruento. Oggi viene continuamente messa in discussione l’occasione di svolgere ancora questi spettacoli.
C’è chi la considera un’indescrivibile tortura, che ha come reale scopo quello del profitto. E il pericolo è molto alto anche per i toreri, i bandarilleros e i picadores (rischiano molto spesso la vita durante il rituale ed è normale che vengano trafitti anche più volte nel corso della loro carriera). La tradizione è tradizione, ma la cultura si trasforma e la mentalità cambia. Molte città spagnole, tra cui Barcellona, hanno detto no alla corrida de toros.
In altre, tra cui Madrid e alcune del Sud della Spagna, dove la tradizione taurina è molto più sentita, persevera ancora la legalità di questo spettacolo.
Qui, si sostiene di poter dare al toro un “premio di grazia”, indulto in spagnolo, che consiste nel dare la possibilità di sopravvivere alla bestia giudicata eccezionale nello scontro. Oggi accade sempre più di frequente che il toro venga risparmiato, ma rimangono comunque casi isolati; il numero dei tori sopravvissuti non è neanche lontanamente paragonabile al numero dei sacrifici. Nell’arco di tempo durante il quale ha luogo la corrida ogni anno, più di tremila tori muoiono, poiché ogni spettacolo vede come vittime, mediamente, sei tori.
In ogni caso, rendere oggetto di diletto di un pubblico l’ineffabile sofferenza di questi animali è un’inutile violenza gratuita. Esistono anche manifestazioni non cruente di tauromachia: una giusta alternativa sarebbe, ad esempio, lo spettacolo dei recortes, che consiste nell’affrontare il toro a mani nude, provocandolo alla carica per poi evitarlo all’ultimo istante tramite una schivata o un salto. Questo eviterebbe lo straziante supplizio che tanto diverte il pubblico, il vero sovrano di questa manifestazione.
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Come al solito gli interessi economici spesso prevalgono, giusto o sbagliato che sia. La vita di tante persone (dagli allevatori ai toreri agli organizzatori dello spettacolo) dipende da questo spettacolo, per cui non basterà il buon cuore e la pietà per i tori ad eliminarlo completamente.
Se (come avviene in Portogallo, mi dicono) il toro alla fine non venisse ucciso, se cioè alla fine la corrida si riducesse a un semplice gioco da funamboli circensi, forse non sarebbe più quello spettacolo tanto emozionante da attirare turisti, entusiasti di scattare foto per poi raccontare al ritorno in patria di quanto sia crudele