In questo momento, tu che stai leggendo, sei in grado di percepire la tua posizione nello spazio e le emozioni che stai provando. Può sembrare una cosa ovvia, ma ad oggi i meccanismi che consentono agli esseri umani di essere consapevoli del mondo che li circonda e del proprio essere non sono ancora stati pienamente compresi dalla scienza.
C’È NESSUNO? – Molti filosofi, tra cui il contemporaneo David Chalmers, ritengono che corpo e coscienza siano due entità separate e che quest’ultima non si possa “ridurre” a un ammasso di neuroni che interagiscono tramite segnali elettrici e chimici.
In effetti, il concetto dell’identità umana è stato da sempre circondato da un alone di mistero che ha accompagnato il cammino dell’uomo. Dire che una persona in coma non ha coscienza è relativamente facile, ed è altrettanto chiaro che una persona vigile e pienamente consapevole del mondo che la circonda è cosciente. Quando parliamo di un paziente in stato vegetativo, invece, le cose si complicano e il modo più usato per valutare l’assenza o la presenza di coscienza consiste nel dare un input sensoriale al cervello (ad esempio «Buongiorno, come si chiama?» oppure «Può stringere il pugno?») e di osservarne la risposta.
Se la persona risponde siamo sicuri che è cosciente, in alcuni casi però il cervello riceve l’input, ma non è in grado di generare una risposta evidente.
Nel 2002 si è scoperto che può esistere uno stato di coscienza minima in cui i pazienti danno dei segni di coscienza in modo non continuativo. Fino a qualche anno fa il 40% di questi pazienti era erroneamente diagnosticato come stato vegetativo e tutt’oggi si fa molta fatica a riconoscerli come persone parzialmente coscienti.
Un’altra situazione in cui è difficile capire se la coscienza è presente o meno è rappresentata dai pazienti locked in, nei quali una lesione del tronco encefalico rende paralizzato e incapace di parlare un individuo completamente cosciente. Alcune di queste persone con il tempo recuperano i movimenti oculari e grazie a questi riescono a comunicare in qualche modo.
Coloro che si trovano nello stato di total locked in non hanno nemmeno questo mezzo per comunicare, poiché la lesione del tronco encefalico interessa anche i nervi oculomotori. Una via per bypassare questo blocco motorio è registrare direttamente l’attività cerebrale tramite una risonanza magnetica funzionale. Nel 2006 si è scoperto che chiedendo ad un soggetto con una diagnosi errata di stato vegetativo di pensare di svolgere un’attività, si attivano le stesse aree cerebrali che si attivano in un soggetto sano che pensa di svolgere la stessa attività.
Tuttavia questa tecnica è poco affidabile e non può essere utilizzata in modo sistematico poiché la maggior parte dei pazienti coscienti non sono in grado di svolgere un compito che può sembrare facile ma che è estremamente difficile da svolgere per chi ha una lesione cerebrale. Questa tecnica, inoltre, non tiene conto di chi non può ricevere gli input poiché non comprende ciò che gli viene chiesto a causa di una lesione delle vie sensitive. Come posso aspettarmi una risposta da una persona che non sente la voce di chi gli pone la domanda?
UNA NUOVA TEORIA E LA QUESTIONE ETICA – L’evidenza che valutare la coscienza sulla base di un meccanismo input-output è poco utile ha incoraggiato gli scienziati a raccogliere una quantità enorme di dati per sviluppare degli indici empirici di coscienza, ma ad oggi questi studi sono riusciti a darci delle risposte solo parziali che non ci offrono una visione d’insieme.
In assenza di risposte definitive, c’è però qualcuno che si è fermato un attimo e ha provato a mettere insieme i pezzi di questo puzzle a cui mancano svariati elementi. Giulio Tononi ed il suo team di ricerca hanno infatti formulato una teoria che è supportata da studi pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali e che ad oggi non è ancora stata confutata. La teoria dell’informazione integrata parte da due osservazioni abbastanza semplici: la coscienza è allo stesso tempo differenziata e integrata. Differenziata perché può attingere ad un elevato numero di esperienze coscienti, integrata poiché agisce in modo unitario.
Un’orchestra in cui milioni di elementi che seguono spartiti diversi riescono ad ascoltarsi fra loro e a produrre un bilancio delicatissimo tra diversità e unità.
Queste considerazioni, si riflettono anche nella morfologia del cervello. Utilizzando un microscopio si può osservare che la corteccia cerebrale è formata da aree diverse e connessioni molto specifiche che sono perfettamente collegate fra loro in modo da potersi “ascoltare”.
Proprio a partire da queste evidenze, Marcello Massimini ed i suoi colleghi hanno provato a capire se ciò che è osservabile a livello strutturale si riflette sull’aspetto funzionale.
Per farlo hanno utilizzato un macchinario che, generando un campo magnetico, è in grado di attivare in modo del tutto indolore una zona specifica della corteccia cerebrale.
Registrando con degli elettrodi la risposta del cervello, si è scoperto che quando una persona è sveglia la stimolazione di un punto specifico della corteccia fa registrare un’attivazione a catena delle zone ad esso collegate, mentre quando si trova in una fase del sonno in cui la coscienza è assente l’attivazione rimane locale.
Queste ed altre misurazioni, dimostrano che il cervello agisce in modo unitario solo nelle situazioni in cui è cosciente e ciò supporta la teoria dell’informazione integrata.
Se è vero che questi studi ci danno delle risposte molto interessanti dal punto di vista clinico, è vero anche che ci pongono nuovi interrogativi dal punto di vista etico.
Se accettiamo che la coscienza sia informazione integrata e che dipenda dal sistema talamo-corticale, dobbiamo ad esempio chiederci: gli animali che hanno un sistema nervoso diverso dal nostro sono coscienti? Si può fare qualcosa per far recuperare la coscienza a quei cervelli che sono ancora attivi dal punto di vista metabolico?
Queste sono solo alcune delle domande che aspettano ancora una risposta.
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