Uno dei pregiudizi più radicati in questi tempi è che il rapporto tra cultura e Islam sia viziato da una ostilità di fondo che vede la scienza e/o l’esercizio della razionalità come un’attività né necessaria né giustificata dal punto di vista del kalām, della scienza teologica fondato sul Corano, la Sunna e gli hadīṯ, i detti del Profeta.
Il ruolo dell’intelletto nella tradizione islamica
Stupirebbe probabilmente constatare che su un totale di 6237 ayāt o versetti, ben 570 incitino all’utilizzo critico dell’intelletto, ‘aql. Un esempio tratto dal filosofo Averroè: “Non hanno guardato al cammello come è stato creato? Non hanno guardato alle montagne come sono state piantate sulla terra, alla terra come è stata distesa?” (Sura 88,4-7). La legittimazione all’indagine scientifica e culturale è ancora più esplicita nei detti del Profeta: “A colui che si incammina alla ricerca della scienza Dio spiana la via al Paradiso“,”Colui che lascia la sua casa alla ricerca della scienza è nella via di Dio sino al suo ritorno“, e ancora “Cercate la scienza fosse anche fin in Cina“.
Casa della saggezza e università
Questa situazione potenzialmente fertile per lo sviluppo culturale dell’ambiente musulmano si concretizzò nell’attività di trasmissione del patrimonio di cultura filosofica e medica classica operata dalla Bayt al-Hikma, Casa della Saggezza, fondata a Baghdad nell’832 dai califfi abbasidi. Né era questo l’unico caso, basti pensare che tre secoli dopo, mentre la Biblioteca Vaticana annoverava 986 libri, quella almoravide di Cordoba ne possedeva 40.000, e che le più antiche università al mondo vi sono quelle di al-Qarawiyyin (Fez, Marocco) e al-Azhar (Cairo, Egitto), fondate rispettivamente nell’859 e nel 970, seguite poi da Bologna nel 1088.
La strada del tradizionalismo: dal XII secolo all’era moderna
Questa grande apertura iniziale andò però gradualmente svanendo sotto i segni di un progressivo consolidamento della tradizione religiosa a scapito dell’elasticità culturale. Questo processo si originò – spiega il premio Nobel per la fisica Abdus Salam – dalla concezione tipicamente musulmana dell’assoluta trascendenza e unità divina (il Tawhīd) e dall’impossibilità di discernere scienza, vita e potenza dalla natura di Dio. Ogni atto che si verifica nel mondo è dunque non separabile dalla natura di Dio. Se Dio è trascendente e non conoscibile nella sua natura con la razionalità umana, ecco come i presupposti per la speculazione scientifica entrino in una crisi profonda, destinata a durare fino all’età moderna e acutizzata dalla scomparsa della Bayt al-Hikma dopo la conquista mongola di Baghdad (1258). A incarnare perfettamente questa concezione è la frase del teologo e filosofo di XI-XII secolo al-Ghazali: “Un pezzo di cotone che prende fuoco non si consuma a causa del calore, ma perché Dio vuole che lo faccia“.
Nuove sfide
Da questo declino della cultura e della scienza musulmana non mancano figure di grande levatura scientifica provenienti dal mondo musulmano, quali il già citato Abdus Salam e l’iraniana Maryam Mirzakhani, prima donna vincitrice della Medaglia Fields per la matematica, la quale si è laureata alla Sharif University of Teheran, ha conseguito poi il dottorato ad Harvard e ora insegna a Stanford, ma non ha avuto difficoltà a studiare nel suo Paese. Maryam sembra ancora però una pecora nera nel gregge dei paesi dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, dove il tasso di alfabetizzazione tocca la media del 70%, di circa 10 punti inferiore alla media mondiale e a quella dei paesi sviluppati (82,5%) e dove circa metà della popolazione femminile non è istruita. L’Islam ha modelli ed esempi del suo passato a cui attingere e da reinterpretare in chiave moderna, una Casa della Saggezza da restaurare per rasserenare il suo rapporto con la cultura. Saprà vincere la sfida?
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