I libri hanno il potere di trasportare chi li legge in luoghi esotici, fantastici, immaginari, persino assurdi. Pochi però lo fanno in modo così convincente e offrendo ottimi spunti di riflessione come L’inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi, pur con una prosa molto semplice ed essenziale, quasi da racconto di cronaca giornalistica.
Questo romanzo ucronico, edito la prima volta nel 2008 dalla casa editrice Baldini Castoldi Dalai, successivamente da Italica Edizioni, è ambientato negli anni ’60 di un’Italia il cui destino nella seconda guerra mondiale è stato completamente diverso: avendo deciso di rimanere neutrale fino al 1943 per poi entrare in guerra al fianco degli Alleati, il nostro Paese ha potuto sedersi al tavolo dei vincitori nelle conferenze post-conflitto ed è diventato una grande potenza mondiale. Mussolini è quindi potuto rimanere al potere, Capo di Stato di un’Italia laica, repubblicana e littoria che cerca di diffondere il fascismo nelle colonie e nelle repubbliche associate: Albania, Grecia, Libia e soprattutto Africa Orientale, dove la maggior parte del romanzo si svolge.
Nella grande storia si inserisce quella piccola di Lorenzo Pellegrini, donnaiolo incallito e noto giornalista sportivo. A seguito della conquista della figlia del suo editore, il protagonista viene mandato per punizione in Africa orientale a seguire il campionato nazionale di calcio. Qui, in un groviglio di Presidenti dai modi provinciali, uomini d’affari, filantropi, forti passioni e rivolte contro il regime, scopre un mondo meno noto ai più, un mondo settario, in cui le tensioni tra colonizzatori e locali vanno in scena ogni domenica sui campi di calcio, così pagina dopo pagina si scopre un’Italia diversa ma perfettamente credibile, tanto da esplorare le “eterne passioni degli italiani: calcio, amori facili e autoritarismo”.
Sfogliando il romanzo è impossibile non innamorarsi delle vicende del San Giorgio, squadra di Addis Abeba che riunisce etiopi e altre etnie in una multiculturalità che è poco rappresentativa dell’Africa orientale Italiana. Soprattutto, anche se si può non simpatizzare per Lorenzo Pellegrini, un italiano che come tanti non prende posizione, è impossibile non volerlo accompagnare nei suoi viaggi. Questi posti lontani prendono forma, colore e diventano quasi familiari quando il protagonista si siede nei ristoranti di Asmara per una pizza.
La prosa di Enrico Brizzi, come detto, contribuisce a dare al tutto un tono di realtà, così come i frequenti intermezzi di storia della seconda guerra mondiale e degli avvenimenti politici correnti: proprio in questo vortice l’inizialmente ignavo Lorenzo viene trascinato da Ermes Cumani, ala talentuosa e dissidente politico di professione, che alla fine riesce a far prendere posizione al protagonista, almeno parzialmente.
L’Italia e le colonie infatti sono in subbuglio perché Mussolini, dopo aver governato il Paese per quasi quarant’anni, è sul punto di morire, i Paesi assoggettati ne approfittano per ottenere l’indipendenza, e i dissidenti politici – di cui Lorenzo finisce col far parte, più o meno consapevolmente – per ottenere la democrazia. Democrazia che però arriva monca in un amaro finale, in cui l’arte del compromesso e l’individualismo sembrano emergere come le altre passioni facenti parte del nostro carattere nazionale.
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