“Nastagio degli Onesti, amando una de’ Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato; vassene pregato da’ suoi a Chiassi; quivi vede cacciare a un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani; invita i parenti suoi e quella donna amata da lui a desinare, la quale vede questa medesima giovane sbranare e temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio.”
Basata sul classico tema amoroso – e, di conseguenza, inserita da Boccaccio nella quinta giornata, dedicata agli amori con esito felice pur essendo caratterizzati da eventi tragici – la novella di Nastagio è famosa per la rappresentazione infernale – o, per meglio dire, la caccia infernale – che ne caratterizza il momento centrale. Il tema della caccia infernale, che molto probabilmente ha radici nel culto di Ecate, pur avendo antecedenti figurativi nella cultura classica è un argomento prettamente medievale utilizzato da diversi autori in altrettante sfaccettature; uno fra tutti Dante: ed è proprio a lui che Boccaccio si ispirò scrivendo la novella. Il modello di quest’ultimo, infatti, è senza dubbio il contrappasso del XIII canto dell’Inferno, ovvero quello della selva dei suicidi con cui, oltre a numerose ed evidenti affinità, è possibile trovare delle coincidenze letterali.
“Quando noi fummo d’un romor sorpresi […]
Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogne rosta. […]
Di retro a loro era la selva piena
di nere cagne, bramose e correnti
come veltri ch’uscisser di catena.
In quel che s’appiattò miser li denti,
e quel dilacerarono a brano a brano;
poi sen portar quelle membra dolenti.”
È anche vero, però, che Boccaccio elimina del tutto il valore morale attribuito da Dante alla scena, dandole una funzionalità del tutto terrena che ci condurrà al tanto atteso lieto fine. È grazie alla macabra rappresentazione, infatti, che Nastagio riuscirà – con abilità e ingegno – a scampare alla morte, ad ammaestrare la sua “ cruda e dura e selvatica ma di singualr bellezza” donna e a sposarla.
Come ben sappiamo, la letteratura più di una volta ha ispirato formidabili artisti ed è questo il caso di uno dei più grandi pittori italiani del quattrocento: Sandro Botticelli. È a lui che dobbiamo i “quattro quadri di pittura molto vaga e bella”– così scrisse il Vasari – che rappresentano in modo nitido ed elegante la caccia infernale e, in generale, la novella di Nastagio.