In un sabato proto-primaverile a Milano decido di recarmi alla fiera dell’editoria indipendente Bellissima, ospitata al Palazzo del Ghiaccio dal 18 al 20 marzo 2016. Aspettandomi file interminabili all’entrata e spallate e calpestii di piedi all’interno, rimango piacevolmente stupita dall’assenza di entrambi i suddetti elementi, se non, subito dopo, rattristarmi un po’ per la scarsa risonanza che sono soliti ottenere eventi come questo.
Preparata come un boy scout a un’uscita di gruppo, mi reco prontamente alla prima conferenza segnata sulla mia agenda: “Romanzo e mercato”. Ed ecco il primo inghippo, sul programma è stata indicata la sala sbagliata e in compagnia di un paio di signori bofonchianti arrivo alla conferenza con un ritardo di qualche minuto. I relatori sono sette e, a tirare le fila del discorso dal mezzo del tavolo – una disposizione alla Ultima cena, tanto per capirci – è il signor Paolo Fabbri, stimato semiologo. La questione risulta immediatamente estremamente controversa e paradossale, come fa infatti osservare Fabbri nella sua introduzione al dibattito, il romanzo è il genere più difficilmente definibile, ma anche il più venduto.
Per primo prende la parola Nanni Balestrini, scrittore e poeta che ha fatto parte della neoavanguardia della seconda metà del ‘900 e autore di opere quali Vogliamo tutto riguardanti le lotte politiche degli anni Sessanta e degli anni di piombo. Balestrini si pone polemicamente rispetto al tema affermando che a oggi l’attenzione sia assorbita quasi esclusivamente dalla vendibilità del romanzo, forma espressiva principale della società di massa insieme al cinema, e non più dal suo valore culturale. Il gusto del pubblico influenza dunque qualità e forma dell’opera e ne sono un esempio le numerose – auto, e non – biografie di personaggi famosi sul mercato.
Interviene poi Angelo Guglielmi, critico letterario, il quale sostiene che il fulcro del problema risieda nel quesito: “Oggi i veri romanzieri scrivono non-romanzi? E quelli che pensano di scrivere romanzi sono davvero romanzieri?” Il gioco di parole mi si rivela a un più attento ascolto estremamente veritiero. Il nome della rosa, scritto da Umberto Eco e edito nel 1980, è un giallo o un romanzo? O una nuova definizione di romanzo? Ed ecco che ritorna l’aporia.
Il microfono passa dunque ad Aldo Nove, pseudonimo di Antonio Centanin scrittore e poeta, il quale sposta la conversazione su un piano aneddotico e concreto, raccontando ad esempio l’iniziale negazione a Francesco Guccini della scena musicale per via della “erre moscia”, episodio simbolo di un comune e sempre più radicale ostracismo verso il diverso. Nove spiega poi di come dagli anni ’90 sia avvenuta un’iper-commercializzazione del libro, sull’onda del canone televisivo basato sul ribasso che è diventato norma pervasiva. Il presupposto editoriale consiste oggi, pertanto, nella coincidenza supposta tra un pubblico televisivo “totalmente rincoglionito” e il pubblico del libro. L’editoria ha infatti ai suoi vertici addetti che si intendono più di marketing che di libri e di questi fatti è conseguenza una notevole standardizzazione del successo.
Espone il proprio punto di vista sul tema del romanzo e del mercato anche il critico letterario Daniele Giglioli. Egli torna alla genesi del romanzo per far riflettere sul fatto che questo sia nato come un genere letterario “che si vergogna di se stesso”, i cui autori si indicavano con pseudonimi o rimanevano anonimi, oppure sceglievano di ricorrere al pretesto del “manoscritto ritrovato”. Questa vergogna era dovuta al disagio ontologico nei confronti di un genere tanto prensile e potenzialmente sovversivo nei confronti della società; disagio che si è all’opposto convertito oggi in una totale spudoratezza e abuso della categoria “romanzo” alimentata dall’apparente impossibilità di mettere in discussione la saldezza dell’assetto capitalistico.
Giglioli fa poi notare che l’unico effettivo concorrente del romanzo siano oggi le serie televisive, le quali hanno riportato in auge due categorie letterarie da tempo trascurate: l’epopea e la tragedia. Le serie televisive possono infatti protrarsi all’infinito come una saga mitica dai confini assoluti e presentano un nucleo tragico in pressoché ogni episodio, in cui i personaggi si vedono costretti a compiere scelte decisive e drammatiche in una perenne “emergency room”. Inoltre, riallacciandosi a un’affermazione fatta da Fabbri nella sua introduzione, Giglioli afferma che “i pilastri del romanzo attuale sono l’Io dell’autore e la rappresentazione che dà di sé, la storia individuale e collettiva e il reportage”. Infine il critico osserva che oggi ci troviamo in una condizione post-mediale, in cui gli scrittori stessi provano disagio nell’utilizzare la lingua e abdicano all’idea di competere con il visuale e il mediale: la letteratura potrà in futuro fare a meno del linguaggio verbale?
Con questo e numerosi spunti offerti dagli altri relatori lascio la sala della conferenza per addentrarmi nel vivo della fiera, ovvero gli stand di libri e altri prodotti culturali della scena “indipendente”. Un desiderio di finanziare ogni progetto sul mio cammino si scontra con la dura realtà di un portafoglio vuoto. Incontro i ragazzi di Emergenze, un giornale che viene pubblicato ogni tre mesi dalla grafica stupefacente, la cui redazione a Perugia è composta da giovani artisti, giornalisti e scrittori. Incontro la casa editrice Henry Beyle, nata a nel 2009 e con sede a Bovisa, la quale stampa collane di testi brevi in tiratura limitata da raccolte di autori noti, con un meraviglioso formato dovuto alla stampa con linotype, la prima macchina per la composizione tipografica automatica, cuciti e rilegati a mano e prodotti in una pregiata carta di cotone.
Qui c’è anche un bar che offre qualcosa da bere e mangiare e in molti passeggiano con una bottiglia di birra in mano, l’atmosfera è davvero piacevole. Mi innamoro con colpo di fulmine di più di un libro. Soddisfatta posso tornare al sole milanese, arricchita da questa stimolante esperienza.
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