Quanti di voi avrebbero disdegnato come premio di una vincita a poker un biglietto per imbarcarsi sulla nave della speranza in partenza da Southampton destinazione New York? Eppure sappiamo com’è andata a finire.
In un periodo storico, la belle époque, dominato da virale fiducia e continua gara al rinnovamento, il Titanic rappresentava il fiore all’occhiello del progresso economico, scientifico e tecnico raggiunto dall’uomo. Prova ne sia lo sfarzo con il quale erano stati concepiti gli ambienti al suo interno.
Immaginiamo di salire la famosa scalinata realizzata in stile Luigi XVI sormontata da una grande cupola in vetro e ferro battuto, che filtra dolcemente la luce solare illuminando l’intero ambiente sottostante. Le pareti rivestite di pannelli in legno di quercia, di tanto in tanto intervallati da grandi quadri intarsiati. Accarezziamo il corrimano centrale impreziosito da una grande lampada bronzea raffigurante un cherubino. Raggiungiamo il grande salone di prima classe, finemente arredato da piccoli tavolini da gioco, poltroncine e comodi divani su cui possiamo adagiarci magari allietati dal sottofondo musicale di una piccola orchestra. E ancora, la sala di scrittura e lettura ricoperta da grandi pannelli in mogano scuro e intarsi di madreperla, suddivisa in due ambienti separati da un arco sostenuto da colonne con capitelli corinzi. Nel caso ci venisse un certo languorino possiamo scegliere tra due ristoranti entrambi ricoperti da morbida moquette, adornati da piante rampicanti e mobili in vimini e dotati di grandi vetrate impreziosite da decorazioni in ferro battuto, che ci danno l’impressione di mangiare all’aria aperta. Se ci va possiamo anche ritagliarci qualche momento di totale relax accedendo alla piscina interna e al bagno turco.
E infine la grande sala da pranzo di prima classe, per i passeggeri senza limiti di budget, ricoperta da grandi pannelli laccati bianchi che contrastano con il verde della pelle che riveste le sedie ordinatamente disposte nei relativi tavoli. Scendiamo quindi in cabina, elegante e raffinata anch’essa, per prepararci per la cena.
La notte del 14 Aprile di 104 anni fa l’“inaffondabile” Titanic, nonostante la grandiosità con cui era stato concepito e realizzato, inesorabilmente s’inabissò nell’Oceano Atlantico a seguito del tragico scontro con l’ormai celeberrimo iceberg. Nelle sue sfarzose sale si stava tenendo una festa e nessuno si preoccupò di aver avvertito un urto, dato che tutti i politici e i giornalisti nei mesi precedenti si professavano certi che nemmeno Dio avrebbe potuto affondare quella nave. L’orchestra continuò a suonare. Non sorprenderebbe se i pezzi di ghiaccio proiettati all’interno dell’imbarcazione dalla collisione fossero stati usati per raffreddare dei cocktail. Tutti ballavano e gioivano, ignari, godendo di cotanta lussuria e agiatezza, come se nulla fosse. E poi d’improvviso il panico totale.
La tragedia del Titanic (1912) è da sempre l’emblema della fine della belle époque, che anticipa solo di un paio d’anni lo scoppio della prima guerra mondiale che mandò definitivamente in frantumi tutta la fiducia e la spensieratezza del periodo precedente.
Oggi la nostra società corre il rischio di essere “titanica”. Una società fondata sul denaro e sul potere, convinta di vivere nel più solido, felice e ricco dei mondi possibili, di poter rispondere a ogni domanda, forte del progresso e del benessere conquistato nella storia – una nuova belle époque? Una società che non solo non percepisce più i suoi limiti, ma pensa addirittura di poterli oltrepassare e non si accorge che un piccolo urto proveniente da oriente potrebbe innescare ben più tragici eventi. Magari, invece di farci abbindolare da quello che i politici e i giornalisti decidono di raccontarci, potremmo imparare dalla storia – grande maestra di vita – ad acquisire maggiore consapevolezza e non lasciare che quello che succede intorno a noi – indipendentemente dalla sua gravità – rappresenti solo un’interruzione dal monotono e meccanico susseguirsi degli eventi.
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