Di Roberta Giuili
Sabato 5 Marzo a Milano si è dato il via al progetto “Aisha” che ha come fine la difesa delle donne di fede islamica all’interno della comunità o del nucleo familiare, da abusi di qualsiasi tipo, morali e fisici. Quest’iniziativa, che è nata col sostegno del Caim, coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Brianza, si prefigge come obiettivo di diffondere un’educazione ai diritti della donna e all’affettività che riesca a separare la religione da atteggiamenti di violenza.
Da una parte il progetto vuole aiutare le donne musulmane a ribellarsi da una situazione familiare molto spesso soffocante e discriminatoria, dall’altra si propone di sfatare lo stereotipo del musulmano violento, che in Europa si è rafforzato dopo l’attentato di Parigi e il capodanno di Colonia, combattendo l’elemento marcio che intacca le vere radici dell’islam e riduce la religione a fonte di luoghi comuni negativi.
Per questo la formazione di stampo, potremmo dire etico-civile, deve avvenire anche all’interno della stessa comunità religiosa, attraverso le parole degli stessi imam.
Sumaya Abdel Qader, una sociologa palestinese madre di tre figli, è colei che guida e spinge le donne musulmane a battersi per i propri diritti: soprattutto le donne più giovani, nate e cresciute in Italia, si riconoscono nella cultura europea… ma molte volte non vale lo stesso per i loro genitori.
I “corsi sull’affettività e la parità fra i sessi” sono perciò rivolti a tutte le fasce della comunità, dalle giovani coppie in procinto di sposarsi, agli imam. Sumaya conduce anche un’altra battaglia più direttamente concreta: abolire nel progetto della nuova moschea milanese le paratie che separano i fedeli maschi dalle donne, abbattendo le divisioni. La religione infatti dovrebbe essere momento e sorgente di conforto, luogo d’incontro e di solidarietà, non artefice di divisioni e discriminazioni.
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