“House of Cards”, o la nuova letteratura politica

Se la politica fosse un gioco di poker, e voi i miglior bluffer, ecco che la Casa Bianca non sarebbe altro che una “casa di carte”: facile da costruire, da manipolare, ma altrettanto facile da buttar giù per la sua precarietà. E se i migliori bugiardi al mondo, se consideriamo il mondo gli Stati Uniti, fossero dei criminali, senza scrupoli e pronti a fare di tutto pur di ottenere il proprio potere, questa casa di carte, e la realtà che ne dipende, sarebbero nelle loro abili mani. Ma stiamo parlando di realtà o di un telefilm?

Da tre anni e quattro stagioni House of cards intrattiene e attanaglia i propri spettatori con questa domanda. Perché Francis Underwood e sua moglie Claire, presidente e first lady americani, non sembrano così lontani da un’ipotetica realtà. Frank è infatti un vero self-made man, di quelli che sono sempre piaciuti agli americani, che si è creato dal nulla ed ha raggiunto i vertici. Tutto ciò grazie anche al supporto di una moglie che gli è fedelissima. Insomma, stiamo parlando di un nuovo Benjamin Franklin e consorte! Bé, forse giusto un po’ più corrotti.

Scopriamo infatti fin dall’inizio che i due personaggi sono pronti a qualsiasi cosa pur di ottenere il loro scopo, ovvero un posto al potere, anzi il miglior posto possibile. Così niente sembra poterli fermare, e coloro che cercano di impedire il loro piano di conquista, e mantenimento, dello studio ovale vengono inevitabilmente messi da parte. In tutti i modi possibili. La coppia è dunque letale, e complessissima nelle sue dinamiche interne. I due coniugi infatti sono legati dalla promessa non di matrimonio, ma del potere. È questo che li spinge a rimanere insieme, è questo che li tiene talmente uniti da confondersi con l’amore, per poi sostituirlo.

Questa prospettiva è concessa allo spettatore grazie agli stessi pensieri di Francis Underwood. È una tecnica non nuova alla letteratura, ma una scelta particolare in televisione e adattata con un espediente particolarissimo: Frank spesso si gira verso la telecamera e ci spiega le sue vere intenzioni, i suoi piani, ma anche i suoi pensieri più intimi. Il personaggio distrugge i confini tra finzione e realtà facendo diventare lo spettatore il suo caro e vecchio amico. Non siamo più allora testimoni, ma i confidenti che conoscono il lato oscuro di quel politico di cui invece gli elettori sono ignari.

House of Cards sembra dunque voler sostituire quella letteratura politica alla quale siamo stati abituati negli ultimi tre secoli: ci presenta una trama complessa, a volte ai limiti della realtà, ma con elementi, temi e questioni attualissimi, dal rapporto tra USA, Cina e Russia, alle riforme sulle armi, ma ancora più inquietante, una versione finzionale dell’IS, ICO. Soprattutto in questa quarta stagione vi sembrerà di rivivere tutto quello che sta succedendo nella realtà, e quello che potrebbe succedere.

È questa, dunque, una narrazione che ha le potenzialità per incidere sulla nostra vita, facendoci riflettere sul presente tramite un distacco che solo la fiction può dare. Un perfetto esempio insomma della nuova televisione che assume la forza e la potenza della letteratura. Del resto Carlo Freccero, ad esempio, sostiene nel suo saggio Televisione che questa abbia sostituito la funzione degli scrittori nel diffondere le idee, poiché:

[…] la politica non è più la ricerca del bene comune, della crescita e della prosperità del Paese, quanto l’occupazione dei posti di potere e, prima ancora, la conquista di maggioranze che diano accesso a quei posti. Come spesso accade, un telefilm, una fiction, riesce a essere più chiara di innumerevoli analisi sociologiche.


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