I Cani – “Aurora”

I Cani sono un progetto particolare, sui generis.

Non fanno nulla che non sia stato già trattato, ma quello che affascina del loro percorso musicale è la semplicità fanciullesca con la quale si approcciano alla musica creando un synth-pop davvero godibile e che non stanca.

Dopo due album, dei quali il primo – Lo Straordinario Album di Esordio de I Cani (42 Records) – una vera perla nascosta nella nicchia musicale italiana e il  secondo – “Glamour” (42 Records) – che ha tradito le aspettative della critica specializzata – pur non essendo affatto brutto –, tornano finalmente I Cani.

La band capitanata da Niccolò Contessa, il compositore da cameretta che cercava di far suonare le tastiere e i sintetizzatori come delle chitarre distorte su basi punk, scrivendo testi sagaci, autoironici e pungenti, ha deciso di lasciare da parte risentimento, invidia e lo sguardo critico tipico di chi ha già capito che un’Italia del genere non ha nulla da offrire ai giovani, in favore di uno sguardo più introspettivo e malinconico.

Quindi via i sintetizzatori distorti, i ritmi forsennati, la voce effettata e i testi polemici contro gli hipster e il concetto di glam. Niccolò Contessa parla di lui in un modo che non aveva mai trattato.

Aurora è un disco malinconico. Terribilmente intriso di tristezza e la voce del cantautore romano lo dimostra. Per la prima volta si fa espressiva, soprattutto nella seconda parte del disco, dove la voce inizia a farsi più espressiva e sentita.

Non avrà il carisma del frontman, ma ha imparato a cantare o, come dice nelle interviste “a usare il diaframma”.

Tra i pezzi che più colpiscono ci sono, senza ombra di dubbio, il dittico composto da Aurora e Una cosa stupida, che fanno da preludio alla veramente ben fatta sia a livello di testo, sia a livello di arrangiamento Calabi-Yau. Al contrario le prime cinque canzoni – tranne Protobhodisattva – sembrano stantie e non riescono a colpire in maniera vivida l’ascoltare. Fortunatamente la seconda parte dell’album, come detto, è di notevole valore e riesce a risollevare le sorti del disco che si conclude con un trittico – Ultimo Mondo, Finirà, Sparire – intriso di tristezza e disperazione nonché di arrangiamenti minimali che accompagnano i testi tragici sulla fine del mondo e della galassia, che tuttavia nel disco non è quella Lattea, bensì un concetto più ampio.

È come se Contessa volesse prendere le distanze da un mondo che non gli appartiene e che, sotto sotto, sta per esplodere – o implodere? –.

Che si stia riferendo all’industria discografica, già in crisi da anni?


Fonti

Wikipedia

Crediti

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.