Chiunque conosca bene la serie televisiva sottile e morale de I Simpson di Matt Groening, sa bene che da diversi anni i canali ospitano la loro controparte scorretta, spietata e insensata: la famiglia Griffin, di Seth MacFarlane.
Le somiglianze sono pressoché onnipresenti: due nuclei familiari con tre figli e almeno un animale domestico; i messaggi, invece, sono completamente diversi.
I Simpson mirano a presentare uno spaccato leggero e ricco di spunti di riflessione sulla società americana degli anni ’90, con i suoi stereotipi legati ai mestieri e il degrado sociale causato da crisi che durano un giorno solo.
I Griffin, al contrario, parodizzano in modo spietato e volgare la società americana odierna, sparando letteralmente a zero su qualunque etnia, orientamento politico e religioso che esista e utilizzando una forma di sarcasmo tagliente (e terribilmente infelice) che spiazza costantemente lo spettatore. Il tutto è accostato da una serie di mini-clip basate su aneddoti volontariamente insensati e fuori dal reale, per scatenare l’ilarità anche negli osservatori meno sensibili ai richiami morali.
Ma ciò che rende i Griffin più diretti e “realistici” dei Simpson, è lo scenario di insieme che viene a crearsi: una società basata completamente su violenza, crimini, sesso, soldi, malavita, famiglie separate in casa e politica; elementi raccolti in una cittadina di provincia del Rhode Island, abitata da circa due o tremila persone (e sessanta personaggi).
Andare oltre la volgarità e le battute nonsense è molto difficile, ma scostando quel velo che offusca il giudizio di buona parte del pubblico, si può individuare un grido di denuncia di MacFarlane, che porta all’estremo scene di vita quotidiana con le risate, e con i suoi “tipi” racchiusi nei personaggi: Peter, un padre goffo e ottuso, Lois, una madre affascinante casalinga, Chris e Meg, due figli adolescenti alle prese coi problemi sociali, Stewie, un neonato geniale, diabolico e ambizioso, e infine un cane, Brian, amante di arte e letteratura, ma alcolizzato. Oltre a questo si aggiungono personaggi unici come Joe, un poliziotto paraplegico, Quagmire, un pilota di aerei maniaco del sesso e Cleveland, un afroamericano bonario gestore di una tavola calda.
Questo gruppo di personaggi, va costantemente incontro a situazioni assurde e pericolose (Stewie e Brian combattono persino in Afghanistan) che spesso ne causa lesioni e addirittura la “morte”, dalle quali si riprendono costantemente.
“Dopotutto, la serie è irreale, che gusto ci sarebbe a rendere reale anche il loro mondo?” aveva detto MacFarlane.
Il politicamente scorretto la fa da padrone, scatenando critiche su alcune scelte maligne del regista, quali battute sulla Shoah, la discriminazione dei neri e la presenza di droghe quasi costante. Io credo che sia proprio questo l’obiettivo finale de I Griffin: scioccare lo spettatore, fare in modo che rida di quella società corrotta e decadente, ma che sappia tenersene a debita distanza.
Insomma, MacFarlane sa come far pensare il suo pubblico e lo fa senza tanti complimenti.
Non per nulla, nonostante le critiche, I Griffin stanno lentamente sostituendo I Simpson con la loro popolarità.
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