Il Diavolo arriva sulla Terra, a Mosca. La sua essenza si incarna in cinque figure, tra il comico e l’inquietante, a capo di tutte queste il tenebroso Woland. Sta preparando la festa del plenilunio, il male e le forze dell’ombra si riuniranno al suo cospetto di lì a poco, nella città rossa, nella terza Roma.
Ma allo stesso tempo anche altre questioni premono, altri problemi polarizzano l’attenzione di Woland: bisogna dimostrare l’esistenza di Dio, perché essa implica l’esistenza stessa del diavolo. L’immagine di Woland seduto al tavolo con Kant spiazza e affascina: i due discutono della settima dimostrazione dell’esistenza di Dio, “vecchio mio, nessuno ci crederà”.
E poi che dire del dramma degli appartamenti, questione molto sentita dall’autore (si veda anche Cuore di cane, racconto del 1925)? Siamo in una Russia in mano alla Nep, agli uomini di Lenin, il motto è “divisione e nazionalizzazione”. Come fare a ottenere un appartamento in città, a sostenere i controlli, a dare una festa dell’altro mondo in un palazzo moscovita qualunque? Come fare a far passare inosservati cinque individui come loro: un vecchio dall’aria torva, uno spilungone con un completo a quadrettoni e un monocolo rotto, un gatto che mangia caviale, ruba, parla e si atteggia come un dandy, una giovane strega perennemente ignuda e uno gnomo con una zanna lunga che sporge dalla bocca?
In più c’è Margherita, in balia degli eventi e dell’amore disilluso; in più c’è il Maestro, e quel romanzo che non ha mai visto la luce.
Una storia d’amore che insegue due cuori senza più speranze, due matti che danno alle fiamme teatri di successo e che non fanno altro che creare scompiglio in città, il diavolo e i suoi, una Mosca socialista dai tratti austeri sotto il controllo costante dell’autorità, Gesù che muore in croce raccontato da Ponzio Pilato. Cosa può accomunare storie così diverse? Cosa può legare le sorti di Cristo alla infelice storia d’amore tra il Maestro e Margherita? E che diavolo c’entrano quelle creature bizzarre a cui la penna dell’autore ha dato vita? È la mente geniale di Michail Bulgakov a rendere possibile tutto ciò, a permetterci di correre tra le sfumature delle fantasie più astruse per poi scivolare nella realtà grigia moscovita dei primi decenni del ‘900; un balzo ai vangeli e un altro ai grandi della tradizione letteraria russa.
La dolce voce di una storia d’amore che sussurra sommessa i propri guai a un pubblico ignaro si scontra con le grida da circo della frenetica realtà in cui danzano i diavolacci. Una scacchiera che magicamente interseca più storie apparentemente slegate tra loro ma che si armonizzano a opera d’arte. È Bulgakov, è la Russia, è magia. Si tratta di un autore che intavola un gioco con il lettore, che mette alla prova, che fa crollare convinzioni. Quando finisci di leggere questo libro tutto cambia: ti guardi attorno sul tram cercano di vedere se accanto a te siede un gatto nero senza il biglietto, non distingui più ciò che ti hanno insegnato al catechismo sulla passione di Cristo da ciò che il Maestro narra nel proprio romanzo, il vecchio seduto sulla panchina nel parco dove vai a correre non è più solo un vecchio. Citando Mauro Martini:
Il Maestro e Margherita, con i suoi tre temi che si intrecciano, con la sua scrittura lussureggiante, con i suoi, per altro precisi, riferimenti apocalittici e demonologici, è un romanzo che va goduto prima che studiato.
Come dargli torto?
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