Nel contesto del conflitto siriano, i Curdi sono spesso indicati come una possibile forza risolutrice in grado di aiutare a sconfiggere l’ISIS e a portare un nuovo ordine nella regione. Quali sono però le origini di questo popolo? E soprattutto, si può parlare di un popolo unito?
Nel crogiolo di popoli qual è il Medio Oriente, quello curdo è uno dei tanti le cui origini non sono affatto chiare e si perdono nel tempo. Divisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria, alcuni di loro dicono di discendere dai medi, antichi nemici degli assiri; certo è forte il collegamento con i popoli iranici, visto il festeggiamento annuale del Newroz a marzo – capodanno tradizionale che cade all’inizio della primavera e che deriva da antichi culti zoroastrici – diventato con gli anni una manifestazione del proprio sentimento nazionale. Un altro tratto distintivo è il loro essere popolo delle montagne: vivendo in una zona prettamente montuosa, i curdi hanno sfruttato la geografia a proprio vantaggio, diventando abili combattenti e perlopiù mercenari che, una volta instauratisi gli Imperi persiano e ottomano, cambiavano fazione a seconda dei vantaggi che ne traevano.
Proprio attraverso lo scontro tra ottomani e persiani si capisce bene un altro tratto distintivo dei curdi: la divisione in tribù e le lotte continue tra di esse. Infatti i capi tribù curdi hanno sempre preferito essere sudditi di un sovrano straniero e avere certe autonomie piuttosto che cercare di raggiungere un’indipendenza vera e propria. Questo permane fino ai nostri giorni, nel travagliato ‘900 e nel conflitto siriano. Pur essendo oppressi nei quattro Stati in cui sono stati divisi dopo la prima guerra mondiale, arrivando al divieto di parlare la propria lingua e alla negazione della propria identità in Turchia, i curdi non sono mai riusciti a essere uniti per un obiettivo comune, a causa delle divisioni tribali che oggi si sono trasformate in opposte visioni politiche, fazioni divise e antipatie personali.
Una considerevole parte di curdi in Turchia infatti, non cerca indipendenza, ma solo una maggiore autonomia all’interno di questo Stato (e vota l’AKP di Erdoğan); d’altro canto, esiste un partito nel parlamento turco (l’HDP) che di fatto rappresenta le istanze curde. A tutto questo si deve aggiungere il PKK, organizzazione terrorista di stampo marxista, che riesce a raccogliere simpatia e ammirazione tra i curdi per essere stati i primi ad aver lottato apertamente per l’indipendenza, se pure con metodi discutibili. L’Iraq inoltre è stato ugualmente diviso tra due fazioni in particolare, facenti capo a Barzani e Talabani, che ricordano da vicino gli antichi conflitti tribali e che solo negli ultimi anni hanno sedato le violenze, con l’indipendenza de facto del Kurdistan iracheno.
A queste divisioni all’interno dei diversi Stati devono aggiungersi i contrasti tra gli stessi curdi. In effetti, anche se uniti dalla stessa etnia, i curdi iracheni e quelli turchi sono in rapporti tutt’altro che amichevoli: il governo del Kurdistan iracheno, commercia il proprio petrolio con la Turchia in cambio di una lotta comune al PKK e alle aspirazioni autonomiste dei curdi in Turchia. Si ha quindi, per l’ennesima volta nella storia, il paradosso di una lotta tra curdi e la mancanza di un orizzonte comune.
Più che di un popolo curdo unito dunque, si dovrebbe parlare delle visioni politiche diametralmente opposte all’interno di esso che, nonostante la relativa omogeneità etnica e la condivisione dello Stato Islamico come nemico comune, non sono state appianate e che rischiano solo di complicare il conflitto in Siria.
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