A casa di due rifugiati politici

Immaginate due volti. Il 1985 e il 1996 sono gli anni della loro nascita. Rispettivamente provenienti dall’Algeria e dal Ghana. Ora si trovano a Mombello, una frazione di Limbiate, un comune della Brianza. Non si tratta di una città come Milano, Roma, Firenze, ma di una piccola comunità, il Montebello, che ha avuto il privilegio di ospitare i due ragazzi che vi presenterò che, tra l’altro, non alloggiano in un hotel: non era presente cibo già preparato e servito e letti con biancheria nuova ogni giorno.

Vengo invitata a entrare da una porta di legno e mi si presentano due stanze separate piuttosto ampie, una adibita a cucina, con un tavolo per sei persone circa e un letto a castello; della seconda non so molto: non tutti i rifugiati erano disposti a chiacchierare. Li abbiamo disturbati mentre usavano un fornellino elettrico e cuocevano qualcosa in un pentolino: ogni tanto, uno di loro si avvicinava per girarne il contenuto e il cucchiaio di legno utilizzato sbatteva contro le pareti del recipiente. Un altro ragazzo era intento a mangiare una banana tagliata a rondelle, ricoperta di una sostanza simile al miele. Non so dirvi se si trattasse del loro pranzo, ma sicuramente non ero di fronte ad un nostro cenone di Natale.

Li ho trovati a loro agio, malgrado l’ovvio inconveniente della lingua. Non avevano alcun tipo di imbarazzo o di restrizione nel vedermi seduta al loro tavolo “Spesso siamo più in soggezione noi, quando il prete si presta a benedire casa nostra” mi hanno detto. Il viaggio della salvezza risulta ancora terribilmente vivido nella loro mente. L’atrocità è difficilmente raccontabile; ma la morte, prima dell’interminabile tragitto, regnava già sovrana e, purtroppo, sempre sguazza orgogliosa tra i ricordi che hanno portato a casa.

La difesa personale contrattaccava alla privazione dei fondamentali diritti dell’uomo, all’assenza di giustizia, di protezione e di libertà. Racconti di ragazzi nati oltre l’anno 2000 costretti a tenere un’arma a portata di mano: ma l’età è un fattore relativo. Si impara a vivere con tutti i mezzi a propria disposizione.

Immaginate anche questo: ritrovarsi a essere della stessa importanza di un granello di sabbia del Sahara o di una goccia salata del Mediterraneo. Soli. Spogliati di ogni diritto e di scelta, se non quella di morire o sopravvivere. Ventuno giorni passati nella distesa desertica al fine di raggiungere la Libia, culla dei raggiri che noi tutti conosciamo. Non avendo denaro, uno di loro è stato usato come mano d’opera in un cantiere; vacillante, seguito, controllato e stimolato sotto il tiro di armi da fuoco a continuare per ore. Se hai intenzione di scappare non devi fare passi falsi.
Duemila dollari investiti precariamente. Business che tratta di trasporto di esseri umani. Avari criminali che mettono in gioco la vita di più di 90 persone in una wood boat (barca di legno, ndr). Ma l’economia si sviluppa sui servizi del bisogno: questo è assodato da tempo.

A chi importa separare una madre dai figli? A chi importa l’età o lo stato di salute? Dopo aver consegnato il denaro, il destino è tuo: si impara a controllare gli istinti primordiali, si impara a razionare. Ci si libera della personalità.
Nel migliore dei casi aspetti, e speri che la fine non avvenga a causa di terzi.

La Sicilia è la prima terra vista dopo settimane in mare aperto. La plastica del gommone ha retto e ora i superstiti possono provare a farsi capire, a farsi accettare, a rialzarsi.
La responsabilità è un dovere che non tutti prendono a carico, specialmente se tratta personaggi al centro della vita politica europea. Non si tratta di persone più o meno buone. Si tratta di coraggio.
L’Italia non è denaro, non è lavoro e non è bella vita. Forse non più. Ora per loro, l’Italia è sicurezza e protezione ed è anche composta da interminabili attese burocratiche, ipocrisie e controindicazioni.

No, non si tratta degli Hunger Games o delle Malebolge. È così vero, è così attuale che noi, poveri illusi, non capiamo. Ci aspettiamo solo un mondo che vuole farsi chiamare crudele, quando in realtà è molto di più. Gioviamo di una visione filtrata, occidentalmente parlando. Siamo un burattino di un Mangiafuoco. Ci vantiamo di avere una mentalità aperta, quando poi i pensieri comunque vengono tratti in rete da circostanze sociali e convenzioni che sono tutt’altro da come la realtà le ha create e le porta avanti.
Quanto uso sbagliato ed esagerato della comunicazione; ci troviamo sullo stesso pianeta ma qualcosa non torna. E fa davvero sorridere quanto sia interessante conoscere chi è l’oggetto dei pregiudizi. Forse perché sembra non conoscerlo affatto, quando in realtà ci prendiamo autonomamente la libertà di assodare luoghi comuni.

Giochiamo con i conti fatti da altri, e diamine, se Galileo fosse qui, ci inviterebbe a raggiungere in prima persona la verità. Chi può discuterla a quel punto?

I due volti ora, hanno un nome che però non posso rivelare. Hanno dei lineamenti che non posso fotografare.
Potrebbe ancora essere rischioso” è la giustificazione.
E questo è tutto ciò di più angoscioso e antidemocratico che può esserci. Hanno cambiato paese, ma non sono totalmente liberi. Sono legati da catene sempre più fitte e più spesse che chissà quando li porterà a poter riprendere a vivere davvero.


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