DDL Cirinnà: an Italian “guazzabuglio”

Il 26 febbraio con 173 voti a favore e 71 contrari, è stato dato il primo sì dal Senato per il Disegno di Legge Cirinnà che, detto in breve, introduce la possibilità per coppie omosessuali (LGBT) di unirsi in un’istituzione diversa dal matrimonio (il quale come afferma la Costituzione può essere formato solo da una coppia di sesso diverso), tuttavia allo stesso tempo, garantisce diritti molto simili a quelli riservati alle coppie eterosessuali sposate, come ad esempio l’eredità.

Lasciando per un attimo le considerazioni etiche e ideologiche su questo argomento e le indegne discussioni che hanno avuto luogo in questi giorni, tralasciando i litigi e la conseguente situazione di stallo che ha paralizzato il Senato italiano per due settimane, non si possono lasciare in sordina alcun tratti del DDL Cirinnà, come l’estensione della reversibilità delle pensioni alle neo coppie omosessuali.

Queste infatti sono nate come prerogativa per le coppie etero, dal momento che la reversibilità della pensione (ovvero l’estensione della pensione alla vedova)

non è affatto un “diritto”, ma un incentivo alla natalità ideato per rassicurare la madre che può così liberamente dedicarsi alla cura dei figli senza temere di non accumulare contributi rischiando in età anziana e di rimanere vedova e senza pensione.

Queste le parole del consigliere economico della Lega Nord Claudio Borghi, il quale sottolinea inoltre come, mentre ci si preoccupa di estendere la reversibilità della pensione alle neo coppie incapaci per motivi ovvi di procreare, si taglino le pensioni “agli esodati che evidentemente hanno la colpa di non avere cantanti pronti a sventolare nastrini per loro” (AGENPARL Roma, 23 febbraio 2016).

Il tema delle pensioni è molto scottante in questi giorni dal momento che il Governo con una delega all’interno della Legge di Stabilità 2016 ha introdotto l’Isee quale parametro per il diritto all’assegno mensile alle pensioni di reversibilità con la conseguenza che queste “quasi sempre appannaggio delle donne, verranno considerate una prestazione assistenziale e non previdenziale” (Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2016). L’effetto di tale manovra, infatti, rivede il sistema assistenziale snaturando il principio di solidarietà sul quale è costruito il nostro stato sociale, dal momento che basta che una donna vedova viva con suo figlio con un piccolo reddito da lavoro per far “saltare” la pensione.

Il problema, tuttavia, è ancora più insidioso dal momento che, in un Paese come il nostro che si basa sull’assioma del pareggio di bilancio, estendere una spesa a un soggetto vuol dire tagliare e livellare i costi da qualche altra parte, rendendo così inutile e puramente discriminatorio l’effetto della riforma. Insomma, pare che sotto la spinta delle piazze, le pressioni ideologiche e populiste da ambo le parti, in Senato si sia volatilizzato il buon senso e la capacità di discernere i capricci dai diritti, mettendo tutto insieme, con un pizzico di sale, matrimoni, pensioni … ed è pronto in tavola!


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