A noi de Lo Sbuffo piacciono molto i dischi strani, se non ve ne siete ancora resi conto.
Uno di questi è proprio Death of a Bachelor (DC2D Records) dei Panic! At the Disco o, almeno, di quello che resta della band di Las Vegas; vale a dire il cantante, compositore e polistrumentista Brendon Urie che ha scritto, suonato, registrato e arrangiato tutto quello che si trova all’interno del disco.
Death of a Bachelor e il lavoro di Brendon Urie
Fidatevi che c’è molta carne al fuoco.
Al primo ascolto può sembrare un concentrato disordinato di tutte le influenze e le pulsioni di un talentuoso -quanto confuso- artista che cerca in ogni modo di staccarsi di dosso l’etichetta che i media gli hanno appiccicato, ma, allo stesso tempo, che vuole rimanere quantomeno fedele alle origini musicali della sua carriera. E’ un disco che a primo acchito colpisce per l’orecchiabilità confusa, ma che, di ascolto in ascolto, riesce a catturare per l’ardore, la freschezza e -diciamolo- anche per la sfrontatezza con la quale Brendon Urie gioca con più di cinquanta anni di musica pop, andando a mischiare a suo piacimento qualsiasi armonia e melodia che gli sia passata per la testa o che gli è capitato di ascoltare alla radio.
Come detto, è un album che mischia e che dà finalmente spazio a Urie di esprimere in toto tutto il talento che possiede, sia a livello musicale, sia a livello canoro. La voce è lo strumento più importante del disco: è la colonna portante sul quale si poggia tutto il lavoro di Urie. E’ il filo conduttore di un disco solo apparentemente disordinato.
I brani del disco
Ci sono i pezzi volutamente pop, come il singolo Victorious che, nel suo essere sfacciatamente radio-friendly, mantiene comunque una grandissima dignità a livello di arrangiamento e di tenuta vocale. Qui Urie raggiunge picchi altissimi sia di potenza che di estensione vocale. Stesso discorso per Don’t Threaten Me With a Good Time, che possiede un bellissimo riff di chitarra inserito magistralmente in tematiche dance. Le particolarità del disco sono, tuttavia, le canzoni che richiamano al mondo del jazz e dello swing e che Urie ha deciso di interpretare con una timbrica vicina a quella di Frank Sinatra, suo idolo da sempre. Pezzi come Crazy=Genius sono l’esempio più lampante di questa mescolanza fra cultura anni ’50 e stile Panic! At the Disco.
Tra i picchi più riusciti dell’album ci sono di sicuro un possibile singolo come LA Devotee, pezzo perfetto per la radio grazie al ritmo incalzante e la melodia che rimane in testa già al primo ascolto e la successiva Golden Days si dimostra un ottimo pezzo pop-rock dove nel ritornello esplode tutta la grinta che era stata repressa nelle strofe. Chiude l’album Impossible Year, un pezzo piano-voce in puro stile Sinatra.
Questo quinto disco dei Panic! At the Disco profuma, secondo noi de Lo Sbuffo, di maturità artistica. La maturità che si merita un artista completo come Brendon Urie; uno che è capace di spaziare senza vergogna e senza problemi dal rock, dal pop alla dance con uno stile tutto suo.
Pezzi consigliati: Victorious, LA Devotee, Crazy=Genius