Di Manuel Cristofaro
Il sistema bancario Italiano, sempre acclamato come uno tra i più solidi, si trova attualmente in una situazione di difficoltà.
Negli ultimi mesi del 2015, 4 istituti bancari sono stati salvati dal dissesto, mettendo in ginocchio la propria clientela e dando il via allo “scandalo” delle obbligazioni subordinate.
Premettiamo inizialmente, che a differenza di tutte le fandonie sentite in questo periodo su questa vicenda, i correntisti non c’entrano nulla con le obbligazioni subordinate, a meno che non le abbiano sottoscritte. Bisogna quindi distinguere tra Risparmiatori ed Investitori. I risparmiatori sono stati colpiti da gravi perdite perché le banche in cui avevano depositato il loro denaro ha subito perdite tali da dover intaccare anche i Conti Correnti.
Consideriamo la banca come una comune società con un proprio stato patrimoniale diviso tra Attivo e Passivo. Le banche svolgono operazioni di “raccolta di fondi”, attraverso i depositi, al fine di utilizzare tali fondi per il “prestito”. I depositi affluiscono nel Passivo dello Stato patrimoniale insieme alle tutte le altre fonti di finanziamento, sia con capitale proprio, azioni, che con capitale di terzi, obbligazioni. La netta differenza tra azioni e obbligazioni è principalmente collegata ai diritti e gli oneri che tali strumenti apportano al proprio possessore: le azioni essendo capitale proprio della società sono più rischiose (capitale di rischio) ma conferiscono maggiori diritti, mentre le obbligazioni (capitale di debito) sono meno rischiose ma conferiscono minori diritti. Azioni e obbligazioni possono essere sottoscritte da chiunque sia intenzionato a farlo, che sia già azionista, obbligazionista oppure correntista.
Prima di analizzare lo “scandalo” delle obbligazioni subordinate, bisogna avere ben presente cosa queste siano; si tratta di obbligazioni ad alto rischio, maggiore rispetto a quelle ordinarie. Per tale rischiosità, conseguenza di una durata molto elevata se non perpetua dello strumento e della possibilità di dilazione e non pagamento delle cedole da parte dell’emittente e altre ancora, esse si avvicinano molto alle azioni (che non hanno scadenza, possono pagare dividendi o meno…). Tra le subordinate ci sono varie riclassificazioni date dalla crescente rischiosità e queste obbligazioni, in caso di fallimento, più sono rischiose più in basso si trovano nella lista di priorità di liquidazione, dopo azioni e obbligazioni ordinarie.
Il caso più eclatante , su cui sono stati spesi litri e litri di inchiostro, tantissime parole e che purtroppo ha visto anche dello spargimento di sangue, è stato quello che ha riguardato la Banca Etruria.
Come per la maggior parte delle situazioni di fallimento, anche nel caso di Banca Etruria si può individuarne la causa nella cattiva gestione del management; a quanto hanno riportato carta stampata e diretti interessati, i vertici alti dell’istituto avrebbero fatto delle forti pressioni sui dipendenti per piazzare tra la clientela, in un momento di necessità di fondi, un elevatissimo numero di obbligazioni subordinate. Fino a qui nulla di strano, si è passato da un management tradizionale (improntato sulla raccolta con i depositi) ad uno improntato al ricorso sul mercato. Il problema sorge quando quest’operazione perde trasparenza: i dipendenti avrebbero avuto laute ricompense in caso di raggiungimento del proprio obiettivo, ma rischiavano la sedia nel caso in cui questo non fosse avvenuto. E qui sorgono i problemi.
Il cliente medio delle 4 banche che si sono trovate in questa situazione, tra cui Banca Etruria, è riconoscibile nel pensionato, indubbiamente non molto informato sulle dinamiche della finanza, e nel lavoratore medio che si serve della banca come semplice deposito del proprio risparmio. Questi due tipologie di soggetti inoltre, di loro natura, hanno piena fiducia negli istituti di credito. Una situazione luccicante agli occhi delle Banche, che hanno sfruttato questa generale incompetenza in materia per essere poco trasparente nell’operazione che stava per mettere in atto.
Per finanziarsi i 4 istituti decisero di emettere obbligazioni subordinate in una quantità inimmaginabile, maggiore del capitale sociale, e di offrire questi strumenti in primo luogo ai propri clienti. Per poter effettuare un’operazione di investimento come questa, i soggetti che intendono sottoscriverla sono obbligati a fornire i propri dati relativi alla situazione sociale, economica e patrimoniale per verificare quale sia la propria propensione al rischio ed individuare quale sia lo strumento maggiormente adatto alle sue esigenze. Queste operazioni vengono definite di Screening. I soggetti tenuti ad effettuare tale procedura sono i dipendenti delle banche; ma se non lo si fa, diminuiscono i costi e si velocizza la sottoscrizione dell’investimento (subordinati).
E l’opportunità fa l’uomo ladro:
- i dipendenti che avevano carta bianca per la sottoscrizione dei subordinati, data la poca conoscenza dei clienti e le forti pressioni dall’alto, che diminuivano di fatto i controlli interni, ci misero uno schiocco di dita a falsificare le documentazioni necessarie o a non curarsi del livello di rischio del cliente, rifilandogli nella maggior parte dei casi se non nella totalità, una quantità di rischio abnorme per quanto ne potesse realmente supportare.
- I subordinati rendevano 5 o 6 volte quello che rendeva il conto corrente o l’obbligazione ordinaria. Di sicuro ciò che ha spinto questi risparmiatori a diventare investitori è l’attrazione verso il guadagno e per questo motivo hanno continuato a fidarsi, facendosi ingannare pienamente e incondizionatamente senza alcun tipo di richiesta di spiegazione. È chiaro anche però che se avessero chiesto maggiori informazioni, non tutti o quasi nessuno avrebbe capito meglio di cosa si stesse trattando.
Tutto nell’ombra e senza necessità di emergere fino a quando la situazione è rosea, ma i nodi vengono sempre al pettine e l’esplosione di una bolla del genere ha sempre dimensioni macroscopiche.
La colpa sembra non essere completamente delle banche che hanno svolto questi loschi stratagemmi: chi avrebbe dovuto controllare? Gli organi designati per il controllo della gestione bancaria sono la Banca d’Italia e la Consob e tutti si sono chiesti come mai non fossero intervenuti prima.
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