Dopo la crisi in Siria, Iraq e Yemen, il Medio Oriente rivede gradualmente nascere la rivalità e il conflitto tra due potenze della regione: l’Arabia Saudita e l’Iran.
La prima è il principale partner politico ed economico mediorientale di Europa e Stati Uniti. La seconda invece si annuncia come nuova potenza regionale, in grado di provocare il timore dello Stato saudita, determinato a mantenere l’ influenza nella regione.
A monte di queste nuove tensioni vi è l’esecuzione di un importante leader religioso sciita, Al-Nimr. Un evento che ha comportato una nuova compromissione dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran, scesi ai minimi storici. La notizia dell’esecuzione del leader sciita ha causato le immediate proteste del governo iraniano Khomenei e della guida spirituale, l’ayatollah Khamenei, accusando l’Arabia Saudita di volersi sbarazzare di un personaggio politico scomodo alle autorità.
L’ambasciata saudita a Teheran è stata presa di mira da proteste di piazza. Successivamente si sono registrate rivolte a consolati e ad altri enti legati all’Arabia Saudita. La reazione saudita è stata veloce e ha decretato la chiusura dell’ambasciata a Teheran e quindi la rottura di ogni relazione diplomatica con l’Iran. Alla scelta saudita si sono aggiunti Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Sudan. Successivamente l’Arabia Saudita ha deciso di sospendere ogni volo verso la capitale iraniana.
Le ragioni religiose
Questo scontro, però, nasce da una divisione religiosa la cui origine è ben lontana. L’Iran infatti è uno Stato a maggioranza sciita, il più importante. L’Arabia Saudita invece è uno stato sunnita, nel cui territorio si trovano i centri religiosi più importanti delle religione musulmana. Per queste ragioni l’uccisione del leader Al-Nimr ha provocato tanto sdegno, in quanto compiuto da un paese di fede sunnita.
Prima di questo evento lo scontro tra i due paesi è avvenuto con sostegni economici e militari fittizi nelle zone di conflitto della regione. Da un lato, infatti, l’Iran si è fatto sostenitore del governo di Bashar Al-Assad. Sull’altro fronte, invece, l’Arabia Saudita appoggia le fazioni che lottano contro il potere di Assad.
In Iraq, invece, l’Iran prova da anni ad aumentare la propria influenza in un paese che si divide tra una maggioranza sunnita a Nord e una maggioranza sciita a Sud, ma con un governo al cui potere vi è un leader sciita. La lotta a Daesh ha visto più volte il rischio di uno scontro settario in un paese già in ginocchio, dove le milizie sciite sono intervenute in zone a maggioranza sunnita risultando determinanti oppure ininfluenti, senza che venisse chiesto il loro aiuto.
Le ragioni economico-commerciali
Tuttavia, il reale motivo che ha infiammato la rivalità tra i due paesi sono le sanzioni economiche iraniane ufficialmente rimosse il 18 gennaio scorso. L’eliminazione delle sanzioni economiche ha aperto, di fatto, grandi possibilità di crescita per lo Stato iraniano e opportunità d’investimento per in Paesi europei. Tra questi anche l’Italia, che riceverà la visita del presidente iraniano Rohani nei giorni 25 e 26 gennaio.
La rimozione delle sanzioni, infatti, permetterà all’Iran di rilanciare la propria economia, ma soprattutto di esportare petrolio a livelli precedenti alla sanzioni, entrando in questo modo in conflitto con l’Arabia Saudita: ad oggi il più importante esportatore di petrolio.
Tutto questo avviene mentre il prezzo del petrolio al barile è ai minimi storici e la cui domanda-acquisto è notevolmente calata a causa della crisi economica. Se nel mercato dovesse entrare anche il petrolio iraniano, ciò comporterebbe una grave perdita per l’Arabia Saudita, la cui economia si basa essenzialmente sulla vendita di petrolio.
Per questo motivo il crollo del prezzo del petrolio ha avuto delle importanti conseguenze anche sull’economia interna saudita, imponendo notevoli tagli ai servizi. Questo, naturalmente, ha causato un malessere generale e inaspettato, soprattutto poiché erano anni che l’economia saudita non conosceva un periodo di crisi.
Lo scontro tra Iran e Arabia Saudita ha avuto grande riscontro nell’ultimo vertice Opec in cui da un lato vi sono Paesi come l’Arabia Saudita che sono favorevoli a un aumento della produzione e altri paesi come il Venezuela (in profonda crisi politica ed economica), che ha profondamente risentito del crollo del prezzo del petrolio. L’Opec non è riuscita a stabilire un prezzo di vendita fisso tra i Paesi dell’Organizzazione, ma è riuscita ad imporre un tetto di produzione collettivo.
La scelta dell’Arabia Saudita di non voler tagliare la produzione è legata anche al desiderio di contrastare la produzione di petrolio dell’ Iran. La strategia dei sauditi è quindi quella di contrastare un potenziale rivale, la cui influenza potrebbe cambiare e aprire nuovi scenari nella regione. Nonostante i tentativi di placare le tensioni tra i due paesi, la crisi diplomatica rimane e la certa crescita economica dell‘Iran causerà ulteriori tensioni con l’Arabia Saudita, intenzionata a mantenere la leadership nell’area. Nel mentre, la guerra si lotta appoggiando i movimenti più vicini alle proprie strategie. Come ad esempio il Bahrein, un paese a maggioranza sciita, ma a capo un governo sunnita, che sta vedendo nascere nuove tensioni in questo scontro.
Uno scontro che, prima ancora di essere uno scontro settario religioso, è anzitutto uno scontro economico e politico tra due potenze che bramano per la leadership.
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