Prostituzione e religione, due mondi lontani, binari, paralleli, apparentemente destinati a non incontrarsi mai.
La prostituzione nell’antichità
Ma occorre sfatare questo mito: oltre alla figura di Maria Maddalena, da tutti conosciuta come la peccatrice che il buon Gesù salvò da una dolorosa e cruenta lapidazione, vi fu un’epoca in cui il fenomeno oggi tanto disprezzato della prostituzione e la religione andavano a braccetto, senza vergognarsi l’una dell’altra.
Correva il III millennio a.C. quando nella ridente e fertile Mesopotamia si trovano le origini (attestate) della pratica della prostituzione sacra. È immaginabile lo sconforto nel sapere che la prostituzione era ritenuta sacra, ebbene si, è così. Ogni anno infatti avveniva la pratica della ierogamia, un’usanza culturale che prevedeva il matrimonio tra il sovrano, che impersonava il dio Dumuzi, e una prostituta, che impersonava la dea Isthar. Il matrimonio sacro avveniva nel tempio e il suo fine, non di poco conto, era quello di assicurare fecondità della terra, degli armamenti e la prosperità del paese e del popolo. Queste donne, che esercitavano la prostituzione per fini sacri, erano chiamate kharimatu ed eseguivano la loro professione nel santuario di Ishtar, e persino lo storico Erodoto fece la loro conoscenza.
Tali sacerdotesse, che oggi considereremmo semplicemente donne di facili costumi o passeggiatrici, all’epoca venivano stimate e rispettate, nonostante la loro professione non rispecchiasse quel codice morale accettato dalla società, che anche all’epoca aveva un ruolo fondamentale.
La prostituzione non era una semplice professione scelta da donne annoiate dalla loro vita coniugale, ma era un vero e proprio status che il destino conferiva loro. Nonostante fossero donne di tutti, incapaci di fornire una vera e propria discendenza e una famiglia in stile “tradizionale” (quella che etnologi e antropologi definiscono “famiglia nucleare”), tanto apprezzata oggi, non erano disprezzate né colpevolizzate per la loro professione, in quanto avevano il ruolo di protettrici del destino dell’intera popolazione.
Dalla prostituzione rituale alla nascita dei monoteismi
Gli anni passarono e si arrivò ad un’epoca in cui la prostituzione venne istituzionalizzata dando il via alla prostituzione rituale, che aveva la funzione di invocare l’aiuto degli dèi che decidevano per le sorti della popolazione, e che grazie a riti profani potevano essere convinti a donare il loro aiuto alla gente e ad assicurarsi così terre fertili, uomini fertili e animali fertili.
Con l’avvento delle religioni monoteiste, nelle quali la moralità fa da padrona, la pratica della prostituzione venne messa all’indice, per via delle pretese moralizzatrici del Dio unico, il quale vietava indubbiamente di legare qualcosa di così naturale come la sessualità alla sfera dei culti sacri.
Anche se i primi cristiani non la raccontano proprio giusta. Esistevano infatti delle vere e proprie cerimonie all’interno della affini a quella che era la pratica della prostituzione sacra. Esempi al riguardo sono i culti della Madonna o le processioni delle ragazze vergini, che derivavano da quella pratica tanto disprezzata, ma opportunamente filtrata dalla morale cristiana.
Occorre dunque sfatare il mito dell’incongruenza tra religione e prostituzione. Quella che oggi è tanto disprezzata dalle persone di fede e additata come una stortura morale, un tempo era una pratica accettata e addirittura rispettata.
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