Il film di cui vi parliamo oggi è un’opera diretta dal grande regista danese Lars Von Trier. Un regista assai dotato, ma che nel 2011 ha destato scalpore per essere stato cacciato dal festival di Cannes dopo aver asserito di “comprendere Hitler”. Un tipo fuori dal comune, insomma, come fuori dal comune sono i suoi film, tra cui Dogville, del 2003.
Una scenografia teatrale e una voce narrante straniante
Una menzione particolare merita anzitutto la scenografia, che non è affatto da cinema, bensì da teatro.
Il film segue infatti l’unità di tempo, luogo e azione. Tutta la vicenda si svolge su un palcoscenico nero, sul quale sono tracciate le piante degli edifici con una linea bianca. Proprio come a teatro, per consentire allo spettatore di guardarvi dentro, le case non hanno mura. Solo le porte – giusto per dare una parvenza di abitazione – e ciò che vi è di indispensabile dell’arredamento interno, per far comprendere a chi guarda la tipologia dell’edificio.
Inizialmente questa sperimentazione può risultare fastidiosa allo spettatore, che inizia ad avvertire una sensazione di claustrofobia. Questa tuttavia non è altro che l’intenzione del regista: proiettare anche lo spettatore al più presto possibile dentro Dogville.
In secondo luogo, per l’intera durata del film una voce narrante accompagna lo svolgersi degli eventi. L’effetto della voce narrante è così ammaliante da renderla tanto efficace quanto quella presente in Barry Lyndon.
La trama
La pellicola narra la storia di Grace (Nicole Kidman), una donna perseguitata da misteriosi gangster che trova rifugio nell’isolata cittadina di Dogville, i cui residenti inizialmente la ospitano non senza alcun timore.
Col passare del tempo, Grace si mostra ai cittadini di Dogville di un’umiltà e di un generosità straordinarie. Con la sua costante cortesia e riverenza stravolge positivamente la vita di tutti, fino a compiere il suo primo miracolo: la guarigione di un cieco. Grace, infatti, tra i compiti assagnati, ha quello di trascorrere diverse ore al giorno con un anziano signore, per tenergli compagnia. Quest’uomo, che dice di essere debole di vista, in realtà è cieco e si rintana sempre in casa per timore di essere scoperto; ma dopo l’avvento di Grace finalmente esce dal suo nido e confessa a tutti il suo difetto fisico, cosa che mai aveva avuto il coraggio di fare.
Ad una cena in occasione di una festività, è lo stesso cieco ad asserire come Grace abbia reso quel paesino sperduto un posto migliore. Grace-Cristo vuole far rendere conto gli uomini della loro cecità e, attraverso la sua azione, cerca di sanarli.
Un giorno però la polizia arriva Dogville per affiggere un manifesto. In questo si legge che Grace è ricercata in tutta la contea per complicità in diverse rapine in banca. Nonostante gli abitanti del paese abbiano le prove dell’assoluta innocenza di Grace, tutti quanti iniziano a trattarla sempre con maggiore diffidenza.
Così, di fronte al primo ostacolo che potrebbe affievolire la “fede” che i cittadini avrebbero in lei, gli abitanti di Dogville – figura di tutti gli uomini – nonostante le prove di bontà di Grace, non sono capaci di non cedere alla superstizione e iniziano pian piano a rinnegarla, proprio come alcuni discepoli fecero con Cristo nella narrazione neotestamentaria.
Ma la Bontà di Grace è capace di perdonarli, perché sa che gli uomini sono come cani e come tali seguono il loro istinto e si fanno sconvolgere totalmente dalla paura. Non a caso il paesino si chiama proprio Dogville (“la città dei cani”). I suoi concittadini allora, ormai vittime di una vera e propria psicosi collettiva dettata dalla paura e dall’egoismo, iniziano a maltrattarla sempre più, approfittando della sua immutata bontà.
Il climax delle umiliazioni a cui va incontro Grace ha inizio con i ritmi di lavoro sempre più serrati che le vengono imposti, la paga ridotta e infine l’abominevole processione di tutti i maschi del villaggio che si recano nella sua casa per stuprarla a turno, ogni volta che desiderano. Quest’avvenimento è degradante quanto l’apposizione della corona di spine da parte dei soldati sul capo di Gesù.
E la buona Grace non viene risparmiata nemmeno dalla via crucis. Per evitare che cerchi nuovamente di fuggire, dopo un vano tentativo dettato dal cedimento delle sue forze fisiche e morali, le viene attaccata al collo una pesantissima catena (la sua croce) terminante con una zavorra che la donna è costretta a portarsi dietro ovunque.
“Ma valida venne una man dal cielo” (spoiler alert)
“Ma valida venne una man dal cielo”: sul finire del film si scopre, infatti, che il gangster da cui Grace cercava scampo era suo padre, dal quale era fuggita perché non voleva condividere il suo modo di vivere. Il padre, venuto a sapere che sua figlia aveva dei problemi, si reca a Dogville a bordo di una Cadillac per convincerla a tornare a casa con lui.
Il padre infatti, per cercare di allontanarla da Dogville, aveva cercato di metterla in cattiva luce ai suoi abitanti creando quei manifesti falsi. Proprio sui sedili posteriori dell’automobile del padre (che non si mostra mai agli abitanti del paese) ha luogo il dialogo chiave del film. Durante il colloquio, Grace si rende conto della vanità dei suoi sacrifici per le persone di Dogville.
Allora, come Cristo, alla lunga esegue anche lei il volere del padre: ordina di distruggere Dogville con tutti i suoi abitanti. Se nel mondo non c’è spazio per Grace (letteralmente la”Grazia”), questo non ha alcuna ragione d’esistere. La conclusione che ci fornisce la religione cristiana è opposta a quella partorita dall’animo cupo di Lars Von Trier. Se Cristo alla fine crede nell’umanità e sacrifica se stesso per lei, Grace dopo la sua esperienza terrestre giudica il creato come “un atomo opaco del male” che non bisogna far altro che cancellare.
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