Prese in mano il quaderno in cui era solita racchiudere ogni singolo pensiero e rifletté sul tema indicatogli dalla redazione: l’intelligenza. Non si era mai trovata così in difficoltà nel dover scrivere qualcosa: di solito le idee le vengono da sole, senza pensarci troppo, come se in realtà il racconto fosse già dentro di lei e dovesse solo essere messo per iscritto. Che fosse anche questa una forma di intelligenza?
Fece ricerche molto approfondite, lesse definizioni, pareri, capì che l’intelligenza fosse un fatto scientificamente rilevabile e quantificabile. Lesse e rilesse la citazione di Einstein: sosteneva che chiunque fosse un genio, se la sua intelligenza fosse stata analizzata dalla giusta prospettiva. Ripensò a quanti anni di liceo avesse passato a sentirsi una stupida a causa della matematica, della chimica, della biologia. Eppure si era sempre sentita definire come una “bambina intelligente”, “ragazza intelligente” e ormai era diventata una “donna intelligente”. In cosa consistesse questa intelligenza, però, non lo aveva mai capito.
Nella sua ricerca si era imbattuta in una definizione che l’aveva incuriosita, che l’aveva fatta riflettere. Si era per un attimo concentrata su un aspetto specifico dell’intelligenza: l’intelligenza emotiva. Non sapeva se esistesse una “classifica delle intelligenze”, quanto un determinato tipo potesse essere più importante di un altro, ma l’intelligenza emotiva, dal suo punto di vista, sembrava surclassare le altre: non è utile a niente capire la fisica, se non sei in grado di capire le persone che ti stanno intorno. E il fatto che tu capisca la fisica, a quanto pare, non implica necessariamente che tu sia in grado di capire le persone, le loro emozioni, i loro sentimenti, ma, ancora più importante, non implica che tu possa capire te stesso. E com’è possibile definirsi “intelligenti” se non si è in grado di capire se stessi, di conoscersi a tal punto da saper controllare e distinguere tra le proprie emozioni e i propri sentimenti? E lei, era in grado di farlo?
Chiuse il computer e decise di fare una pausa: scrivere un racconto, come sempre, la stava portando ad affrontare angoli bui e sconosciuti della sua mente, della sua persona, ma quando si scava sempre più a fondo in se stessi, ogni tanto si sente il bisogno di fermarsi un attimo, perché non puoi incontrare sempre e solo cose ti piacciano di te.
Ma nonostante la pausa, non riusciva a smettere di pensare a quali aspetti della sua persona la rendessero intelligente: non aveva certamente un’intelligenza logica che spiccasse, le materie scientifiche non erano mai state il suo forte, eppure sapeva, in qualche modo, di non essere una stupida. Anche perché per anni aveva sentito ripetere da sua madre quanto, secondo lei, le persone stupide vivessero molto più felicemente la loro vita. Era una questione, sempre secondo sua madre, di non riuscire a cogliere quanto stesse intorno e dentro di sé, per cui gli stupidi non sarebbero portati ad indagare nulla del mondo, nulla di loro stessi: esiste un modo più felice di vivere, se non ignorando quanto sta fuori e dentro di te?
Ma lei non era mai stata così: passava giornate intere ad interrogarsi su come poter essere felice, in cosa consistesse questa felicità a cui tutti aspiravano; non era in grado di ignorare quanto le succedeva intorno, che fosse la via in cui abitava o il mondo intero. Soffriva per le sofferenze a cui troppe persone, seppur lontane da lei, erano sottoposte. Riusciva in qualche modo a provare, seppur in maniera diversa, quel dolore: che fosse questa la sua intelligenza? Il compatire, il soffrire insieme? Quindi, almeno l’intelligenza emotiva, le apparteneva?
Forse aveva sempre dato per scontato che questo genere di intelligenza appartenesse a chiunque; aveva sempre dato per scontato questo modo di approcciarsi alla vita, da non arrivare a pensare che avrebbe anche potuto non appartenere a tutti.
Fu quindi grazie all’articolo commissionatole dal giornale, grazie a quel racconto che aveva accolto con riluttanza, che capì che forse essere intelligenti precludeva un pochino di felicità, come aveva sempre sostenuto sua mamma, ma che sia molto meglio che essere sempre felici, se ti porta a capire, conoscere, ad essere più vicina alle persone con cui condividi la tua vita.
Credits: copertina