Di Julian McNeil
Che la nostra società sia pervasa da un generale sentimento di sfiducia nelle istituzioni lo si può facilmente carpire dai quotidiani, dalla radio o dai telegiornali, che costantemente lo alimentano e lo manipolano mediante i fatti di cronaca.
“Governo ladro” o “Politici corrotti” sono espressioni presenti ovunque, a partire dal bar sotto casa per arrivare fino in Parlamento. Queste affermazioni sono giustamente etichettate come luoghi comuni o come slogan populisti, ma la triste verità è che la lotta alla corruzione da cui deriva il sentimento di sfiducia, in Italia non è stata ancora vinta, anzi.
A tal proposito possiamo osservare le annuali ricerche di Transparency International, una NGO che opera nel campo della ricerca sociale e che utilizzando l’indice di percezione della corruzione (CPI – Corruption Perception Index), un affidabile indicatore statistico, ci pone oggi al 69° posto nel mondo, ultimi tra i paesi OCSE e in coda a paesi come Giordania, Turchia e Brasile. Il fatto veramente interessante tuttavia è che 10 anni fa eravamo al 40° posto, un dato che evidenzia una grande inflazione negativa che costituisce un paradosso in un mondo in cui si cerca stabilità e crescita.
Ciò conferma quanto la corruzione sia fortemente radicata nella nostra società, una sorta di fenomeno ciclico tendente a non scomparire mai.
Ci si potrà chiedere a questo punto cosa si stia facendo per debellare questo problema. Sul tema è intervenuto in numerose occasioni, e in linea con i suoi predecessori, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale a partire dal discorso d’insediamento il 3 Febbraio ha affermato più volte la necessità di avere una risposta culturale, oltre che politica, per cambiare lo status quo.
Di fatto se in campo legislativo molto è stato fatto, dobbiamo chiederci in quali altri ambiti ci siano margini di miglioramento. Un esempio lo possiamo trovare con Marcello Dei, noto professore di sociologia dell’Università degli Studi di Urbino, il quale afferma in una delle sue ricerche che l’inclinazione a corrompere o a farsi corrompere deriverebbe in maniera diretta dalla semplice azione del “copiare” tra i banchi di scuola, una pratica diffusa tra i giovani al 66% che sottolinea gravi lacune nel nostro sistema educativo.
Questa, come altre teorie, va a sostenere l’idea che un problema sociale di tale portata non si possa risolvere solamente mediante uno strumento o un punto di vista, nello specifico quello del diritto. Sarà questa la consapevolezza che forse manca ai nostri politici? Sempre ammesso che di mancanza inconsapevole si tratti.
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