di Roberta Giuili
Incapaci di nascondere
persino a loro stesse
la verità
durante l’amore
sono le libellule.
Nessuno può ingannare
il lato sinistro del collo
dal labbro superiore
all’angolo destro
è un viaggio che devo fare.
Ma il senso umano del tempo
paradossalmente manca
ai nostri orologi
e mentre segnano la stessa ora
da buoni eretici li crediamo rotti.
Giulia Romano è nata l’11 Febbraio 1994 a Siracusa, dalla quale si è spostata per venire a studiare a Roma, dove frequenta il corso di giurisprudenza. Nel 2015 ha pubblicato la sua prima raccolta intitolata Catarsi.
Il testo è rappresentativo dell’intera raccolta di poesie, ricoperta di una patina ermetica, pervasa di un senso intoccabile ma presente che presuppone come necessaria e fondamentale l’esistenza di un lettore, ascoltatore, spettatore e interprete.
È una poesia che graffia e rimane impressa attraverso parole pregnanti e ridondanti di allitterazioni: il passaggio dalla dolcezza del termine “libellule”, alla durezza dell’aggettivo “rotti” asseconda il percorso del pensiero poetico. Prima l’amore e le libellule, poi parole corporee, materiali, carnali forse, il collo, il labbro superiore, e infine si approda alla cinicità umana, all’ereticità. Il senso umano del tempo, la percezione umana del tempo è una dimensione soggettiva alla quale l’uomo non riesce a trovare collocazione; il risultato è il privarsi di una verità sincera come quella delle libellule per crearsi una verità determinata e deterministica: un orologio che segna la stessa ora indubbiamente è rotto.
Il perno della poesia di Giulia Romano è l’elemento naturale: da una parte attraverso il ricorso frequente all’identificazione animale, con una “pecora”, una “mucca”, un“cane”, “ho imparato con il tempo la perfetta metamorfosi”, dall’altra con l’evocazione continua dell’aspetto sessuale e carnale, primitivo dell’essere umano in quanto animale. È uno stile dualistico, spezzato e perciò volutamente duro e immediato, ma allo stesso tempo caldo, emotivo, retaggio delle “terre del sud” , del “sole che adesso accetta solo a metà” e delle sue tradizioni, di una religiosità primitiva e profonda, ma anche combattuta e indiscindibilmente legata all’aspetto sensuale: “il mio pantheon/ accoglie sempre/ nuovi pellegrini”, “tra le mani ho tenuto/ foglie secche da resuscitare, /le adagiavo sul tuo palmo, /concava fonte battesimale”. Il filo conduttore è un intreccio di prospettive della figura umana, colta nelle relazioni familiari “sarò mia madre, /sarò mia figlia”, nella visione evoluzionistica della crescita, “sarò avvolta/ con la cura che richiede/ l’appena nato”, nel mistero della vita “questa forma /ti avevano dato: /uomo”.