Di Ilaria Zibetti
L’Opera lirica è costellata fin dagli albori di divi, celebrità, grandi voci ed interpreti che hanno dato vita ai personaggi delle storie e incantato il pubblico con le loro performance. Ma un nome solo è così impresso nella memoria della nostra contemporaneità da farlo associare alla Musica: Maria Callas.
Nata come Anna Maria Sofia Kalogeropoulou, la Callas, secondo la data più accreditata, venne alla luce il 2 Dicembre 1923 a New York. Di origine greca, il cognome così come lo conosciamo fu cambiato dal padre George quando si trasferì in America con tutta la famiglia.
La figura di quest’artista è circondata da molte leggende, spesso molto fantasiose, che contribuiscono a renderla unica sia nel privato che sulle scene. In questo articolo non voglio soffermarmi sui pettegolezzi o sulle dicerie, bensì sulla sua essenza di donna tragica.
La vita di Maria Callas è stata segnata fin da giovanissima da momenti di sofferenza e la sua affermazione come cantante è stata costellata di difficoltà. Inizialmente, benché il suo talento fosse innegabile, la sua costituzione fisica era molto robusta ( arrivò a sfiorare i novanta chili ) e questo la rendeva vittima di pregiudizi e malelingue. Pur di risolvere questo problema Maria Callas iniziò dagli anni ’50 una vera e propria trasformazione: grazie al superlavoro nei teatri, tanto movimento e una dieta creata apposta, giunse a snellire a tal punto da essere irriconoscibile e creando l’immagine che oggi tutti omaggiamo della Diva.
Diva abbiamo detto, consacrata nel 1949 durante una recita de “I Puritani” di Bellini al Teatro La Fenice di Venezia ( quella sera la Callas sostituì un altro soprano ), la sua voce inconfondibile fu finalmente riconosciuta come speciale e inaudita. Un timbro unico, un’estensione impressionante ( poteva cantare dal ruolo di mezzosoprano a quello di soprano di coloratura ), un’agilità raffinata da belcanto, una drammaticità penetrante e una pienezza raramente raggiungibile. Questo da un punto di vista meramente tecnico, ma questo appellativo “sacro” è dovuto anche alle sue qualità recitative di altissimo livello e una capacità comunicativa contagiosa.
Una donna profonda, cresciuta nella miseria e poi rimasta inebriata da smisurate ricchezze e dal successo che l’ha investita. Una personalità forte, volitiva, testarda, da “diva” e quindi a tratti anche snob ma le si può perdonare il capriccio e il caratteraccio considerando il grande dono di cui fu dotata. La tenacia delle sue eroine: Tosca, Gioconda, Norma e Medea aveva come contraltare un animo molto sensibile e fragile, alla continua ricerca dell’ amore, come quello che viveva nelle opere che rappresentava. Dopo il divorzio dall’imprenditore Giovanni Battista Meneghini, uomo molto più grande di lei con il quale non si riesce bene a delineare l’affetto dall’amore, credette di aver trovato nell’armatore Aristotele Onassis il porto delle sue speranze ma quella relazione le fu fatale. Come nuova Lucia di Lammermoor, si inabissò in un sentimento che ella stessa definì “brutto e violento”, finendo consumata e delusa più gravemente rispetto alle altre storie sentimentali che ha avuto. Il successivo abbandono di Onassis per Jacqueline Kennedy e la sua morte( oltre a quella di cari amici come Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti ) colpirono duramente il soprano, il quale aveva cominciato a patire un declino della propria carriera e di molti disturbi fisici, tra i quali l’insonnia cronica.
Dopo un’ultima tournée nel 1973 con il tenore Giuseppe Di Stefano, storico collega, non apparve più in pubblico. Ritiratasi a Parigi, ella si spense per un arresto cardiaco il 16 Settembre 1977, lasciando come eredità le proprie incisioni, un vastissimo patrimonio e una vita da tragica eroina dell’opera: consumata dall’amore e da una vita tesa come le sue magiche corde vocali, lasciando il mondo ammutolito.
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