Di Ilaria Zibetti
Folli, visionari, saturnini, pazzi furiosi… chiamateli come volete ma nell’Opera i soggetti con una certa instabilità psicologica sono frequenti, indipendentemente se per davvero o per simulazione.
In questo articolo inizierò a soffermarmi principalmente sulle fanciulle, non per femminismo, ma perché sono protagoniste più famose rispetto ai loro colleghi gentiluomini. E poi ammettiamolo: le arie sono anche molto più belle (e qui emerge il girl power).
Nel ‘700 la pazzia era utilizzata come mero pretesto per il ricongiungimento degli amanti, come fece ad esempio Giovanni Paisiello (1740-1816) con “Nina, ossia la pazza per amore” del 1789. In breve la storia: la giovane Nina, classica fanciulla nobile e innocente, cade in uno stato di melanconia che rasenta la pazzia in quanto il padre l’ha separata dal suo promesso sposo, Lindoro, per poi essere risanata con l’aiuto degli amici, padre incluso, per un happy ending da manuale.
Nell’800 però, grazie alla progressiva imposizione del Romanticismo, si diffonde la tendenza a rendere la demenza uno stato irreversibile e fatale. Vincenzo Bellini (1801-1835) ha composto alcune opere in cui il deliquio della protagonista ha due possibilità di conclusione. Ne “Il pirata” (1827), la sventurata Imogene appena scopre che il suo fidanzato Gualtiero (il pirata ndr) è stato condannato alla mannaia, si lancia in un’ultima aria struggente di dolorosa follia ed infine si accascia e muore di crepacuore (su questo argomento torneremo in un’altra puntata). Diversa la sorte della bella Elvira de “I puritani “ (1835): abbandonata sull’altare a causa di un malinteso, sragiona completamente fino a quando l’udire della condanna a morte dell’amato Arturo non la fa tornare in sé e non solo rinsavisce, ma grazie a una clemenza last minute, si congiunge con il fidanzato.
Cronologicamente, passiamo a Gaetano Donizetti (1797-1848), uno dei più affezionati al binomio amore-follia. Avevamo già parlato di ciò per “Lucia di Lammermoor” ma la ricondiamo in sintesi perché emblematica: costretta con l’inganno a sposare un uomo che non ama, Lucia impazzisce, uccide il fresco marito nell’alcova per poi morire di dolore poco dopo. Edgardo, il nemico di famiglia a cui si era promessa la ragazza, la seguirà volontariamente nella tomba. Molto romantico senza dubbio, ma non molto duraturo. Con “Anna Bolena” (1830), il compositore bergamasco si cimenta nel dramma storico della seconda moglie del sovrano inglese Enrico VIII. In questo caso la follia fa capolino solo alla fine della vicenda ossia quando Anna, rinchiusa nella Torre di Londra in attesa di essere giustiziata, perde il lume della ragione per il dolore del tradimento dello sposo con la dama di corte Giovanna e della terribile sorte che spetta a sé medesima, il fratello Tommaso e lo spasimante Riccardo. “Coppia iniquia” è un’invettiva non così tanto squilibrata, ma l’uso dello stato alterato serve per farci partecipare emotivamente alle disgrazie della regina e compatirla. Almeno dal punto di vista del dramma, storicamente è un personaggio molto controverso. In “Linda di Chamounix” (1842) Donizetti sperimenta una felice conclusione della vita di Linda, semplice contadina, che si crede abbandonata dall’amante, delira, ma con l’aiuto dei genitori e dell’amato Carlo riuscirà a riaversi e a convolare a nozze con il suo grande amore. Tipico della commedia insomma.
Se pensate che l’elenco delle ragazze che “amano alla follia” sia finito, vi sbagliate.
Grande eroina del genere è Margherita, l’infelice amante di Faust, indipendentemente se trattata da Boito, Gounod o Berlioz. Arcinota la storia di come la fanciulla, non reggendo all’infame abbandono di Faust, sia caduta in un abisso di atti criminali compiuti involontariamente quali l’infanticidio del suo stesso figlio e l’avvelenamento della madre.
La Lady Macbeth verdiana (1847), già famosa grazie al dramma di Shakespeare, comincia a soffrire di sonnambulismo e visioni agghiaccianti a causa dei sensi di colpa che la tormentano per tutte le nefandezze che ella è riuscita a far compiere al marito per ottenere il potere in Scozia. Una delle scene più drammatiche di sempre in cui ambizione politica e coscienza si scontrano fino al suicidio della donna.
Infine vorrei citare un altro personaggio shakespeariano: Ofelia, o meglio Ophelie nella versione francese del compositore Ambrois Thomas. Vittima innocente delle trame altrui, ignara del suo destino funesto, sconvolta per la pazzia (falsa) del suo amato Hamlet e per la morte violenta del padre avvenuta per mano del principe di Danimarca… tutto ciò l’ha spinta a un deliquio tra il delizioso e l’inquietante, specie se si pensa che di lì a poco ella morirà tragicamente.
Da questo panorama possiamo quindi affermare che, oltre ad esserci sventura a badilate in queste storie, il filone della pazzia in scena sia ricco di elementi in cui non vi sono solo fanciulle prede di isteria amorosa, ma anche donne politicamente ed umanamente corrotte, ragazze che vogliono fuggire al dolore o ad una realtà violenta nascondendosi in un mondo che creano nella loro mente. Per quanto sia giusto imparare a provare pietà per i propri simili in disgrazia, comprendere che l’ingiustizia spesso predomina il mondo, queste storie insegnano anche che sostituire la realtà vera con una fittizia, come avete visto, raramente porta ad un happy ending (sebbene musicalmente faccia il suo effetto).
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