Si sente sempre più spesso parlare del concetto di decrescita, spesso accompagnato nella sua dicitura dall’aggettivo “felice”. Lo stesso concetto è di conseguenza spesso associato alla faccia dell’intellettuale francese Serge Latouch. Banalmente, nel pregiudizio comune, il concetto viene trasmesso come un pensiero economico simmetricamente opposto all’attuale pensiero dominante della crescita ed, ugualmente in maniera semplicista, accomunato ad un apparentemente unico esponente, appunto Latouche.
Spesso anche mostrata come teoria utopista che millanta un processo di effettiva decrescita, ovvero, di una crescita al contrario, demonizzata tramite l’inadeguatezza di realizzazione, codesta teoria sembra aver preso il posto del “bello ma impossibile” all’interno del dibattito mediatico pubblico.
Allo stesso modo tra gli esponenti della società civile, della politica e dell’intera classe dirigente occidentale, il concetto è poco trattato se non da qualche gruppo indipendente ed autonomo, resta sempre in disparte.
Andando però ad approfondire la questione, ovvero la storia, l’origine e il dibattito sulla cosiddetta decrescita si scopre che essa non si ferma alla semplice esposizione dei fatti così come li pongono i media massificati.
Lo stesso Latouche, in uno dei suoi tanti saggi afferma che è “improprio parlare di teoria della decrescita, come gli economisti hanno fatto per le teorie di crescita, e soprattutto che decrescita non identifica un modello pronto per l’uso.”. Paul Ariès, altro intellettuale interessato alla materia in questione, avverte addirittura che “Decrescita” è un termine esplosivo, uno slogan politico, in quanto appunto rappresentativo di un concetto speculare della critica teoria della crescita, o delle sue teorie.
Difatti il reale messaggio è quello di un abbandono della crescita per la crescita, lasciare le ossessioni del produttivismo e del profitto dannose per la natura e per l’uomo. Un termine più consono sarebbe “a-crescita”, ovvero, assenza di crescita e non, come lascia intendere il messaggio attuale, una crescita con il segno meno.
Diciamo che il termine mainstream può rappresentare l’insieme di gruppi ed individui, anche in termini di movimento sociale, che si oppongono radicalmente al concetto di crescita e sviluppo e intendono ad avviare una teoria del “doposviluppo”. Una netta opposizione al totalitarismo economicista sviluppista e progressista.
Diviene così interessante la sua contrapposizione nei confronti dei concetti di “sviluppo sostenibile”. Esso, portato avanti per secoli dalle società ancestrali, permetteva un armoniosa crescita nei confronti del fattori naturali e soprattutto un “piantare gli alberi per i figli”. Dunque lo sviluppo sostenibile non è possibile, in quanto esso significherebbe un ridimensionamento di un sistema produttivo industriale e finanziario che è nella sua natura intrinseca non adattato all’ambiente e anzi, tende ad adeguare l’ambiente al suo modo di produrre. E così anche un modello stazionario è impossibile. Serve, dice Latouche, un vero cambio di civiltà per ritrovare non solo un modello sostenibile ma anche durevole.
Soffermandoci anche sulla figura di Latouche è da dire che egli, se pur rappresentato come il guru delle “decrescita”, de facto, non è altro che un sintetizzatore delle diverse teorie dandone una versione fruibile attuale. Di certo ha contribuito al dibattito ma è anche colui che raccoglie le diverse teorie passate dandole un’ordine. A lui sarebbe da affiancare Ivan Illich, Cornelius Castoriadis, André Gorz, Francois Partant e molti altri.
Che la teoria abbia attualmente ampi punti di discussione è certo. Altrettanto è certo il fatto dell’attuale distruttività è confermata già da decenni da diversi teorici ed interpreti della realtà. Lo stesso polemista britannico Roger Scruton parla di “suicidio dell’occidente” quando chiama in causa l’attuale modello di vita, necessariamente unito al modello produttivo se visto all’interno di un’asse di collegamento individuo-società.
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