di Italo Angelo Petrone
La vibrazione animata d’una nebbiosa nottata,
quando l’umida fumata
d’una città abbeverata
bussa all’infisso per scrutar
l’animo di chi lampioni cercava.
Arrivi bendata come le carezze
che cadon nelle piccole stazioni notturne delle valli del nord.
Intrusa sui balconi silenti,
che sognano i fari d’un mare
che non vuoi t’appartenga.
Ovunque presente,
come i bagliori d’una rugiada
che sfolgorante soggiace
tra i fuochi della città.
T’immagino avvolta tra la nebbia,
con le ciocche inumidite.
Ferma per l’attesa,
riposata perché reduce di battaglie convulse.
T’immagino con il nero delle serate accurate.
Con gli occhi a cercar il filo nebbioso che ti possa toccar.
Il ricordo d’un estate passata a meditar sulle ringhiere vuote.
Dietro le granite e gli ombrelloni.
Ringhiere piene d’una ruggine tagliente.
Stanca di un’evasione che non conosci ma possiedi.
Dal corso pieno di motori dormienti
guardi i balconi alti e silenti
come oblò di navi senza mari né porti.
Galeoni di capitani assenti e marinai al sapor di vino
che gettaron il carico di spumanti durante una tempesta.
Mai più sicura sei stata tra le nuvole scese in terra,
tra i doni di caligine hai voluto soffiar gemendo sul tuo cuor.
Ti dissero che si chiamava il mal bianco,
il banco che si girava intorno alle tue mani,
ma il mantello che t’era stato donato era oro di bruma vaporosa,
bianco per la grazia raffinata dell’eterna ricerca dell’inarrivabile che a tutti spetta.
T’immagino, con le tue dita che accarezzan il capotto,
con i fiori nelle tasche chiuse perché possano gioire
nel silenzio dell’armonia dell’umana speranza.
T’immagino tra i bordi d’una strada che mercati animati ha ospitato per dimenticar l’asfalto.
T’immagino ma non potrei,
perché non era estate,
perché tra la nebbia sei soffice,
leggera come la foglia di novembre,
languida come la vela nei mari esotici,
sei viva come l’onda del mare d’inverno,
e forte come la pietra che lo argina,
eterea come i pensieri cagionati dalla nebbia dell’animo.
T’immagino