Gas e biogas: l’energia del metano

Di Camilla Zoppolato

Qualsiasi sostanza che si trova in stato aeriforme ed è caratterizzata dalla mancanza di forma e volume propri viene chiamata gas.

Alcuni gas che fanno parte della nostra vita quotidiana, come ad esempio l’ossigeno che respiriamo, li chiamiamo con il loro nome proprio.

In altri casi invece, usiamo la parola gas per indicare l’anidride carbonica che rende frizzanti le nostre acque oppure il metano che accende i nostri fornelli.

Se qualcuno vi chiedesse se avete spento il gas sapreste esattamente di cosa sta parlando, eppure a rigor di logica il termine gas potrebbe riferirsi a qualsiasi cosa.

Questa generalizzazione per definire il metano è molto in contrasto con quanto avviene in ambito tecnico; questo idrocaburo può avere diverse provenienze e di solito non è mai puro, ma si trova in miscela con altre sostanze; a seconda dei casi viene chiamato gas naturale, biogas o biometano.

E’ un combustibile estremamente infiammabile, molto leggero e viene usato per riscaldare, cucinare e alimentare automobili; invisibile e privo di odore, per poterne percepire la presenza è  necessario aggiungervi sostanze odorigene come i tioli.

La principale fonte di metano è il gas naturale che si trova in giacimenti, spesso insieme al petrolio. La sua origine è il materiale biologico, deriva infatti dalla decomposizione di alghe e plancton o da carbon fossile.

Il metano può essere generato anche dalla sostanza organica recente: nella seconda metà del Settecento Alessandro Volta in Europa e Benjamin Franklin in America scoprirono questo “gas infiammabile” in acque stagnanti in cui era presente materiale organico in decomposizione.

Nel corso del tempo vennero comprese le caratteristiche di questo idrocarburo, vennero scoperti i batteri metanogeni e le condizioni di produzione del metano. Il primo vero impianto di produzione di biogas risale al 1938.

E’ possibile dunque ottenere metano dalla sostanza organica presente oggi, sfruttando il processo di digestione anaerobica: usando una qualsiasi biomassa e alcune tipologie di organismi, seguendo alcuni step,  otteniamo una miscela di gas composta per il 50-75% da metano, chiamata biogas.

Quest’ultimo può essere purificato per ottenere una miscela di metano al 98% e in questo caso viene chiamata biometano.

Come il gas naturale, biogas e biometano possono essere utilizzati per diversi scopi, inclusa la produzione di energia elettrica.

Otteniamo in questo modo un biocombustibile che proviene da biomasse organiche ed è una fonte di energia rinnovabile.

L’energia proveniente dalle biomasse è, sotto un certo punto di vista, solare: l’energia contenuta dalla sostanza organica, come quella del nostro stesso corpo proviene infatti dal processo di fotosintesi.

Qualsiasi composto biologico può essere utilizzato come materia prima per la produzione di biogas, ma la resa è maggiore se si parte da materiale secco, perché l’acqua occupa spazio, ma non è utile.

La possibilità di utilizzare dei rifiuti rende questa trasformazione molto vantaggiosa; si può partire da residui colturali, scarti agroindustriali, rifiuti organici urbani, fanghi da depurazione e scarti del comparto zootecnico.

Lo smaltimento le deiezioni degli animali d’allevamento  è un grosso problema; il letame è un prodotto molto utile in agricoltura, ma è ormai raro; nella maggior parte dei casi abbiamo reflui liquidi: liquami maleodoranti e difficili da smaltire; il loro uso come fertilizzanti è limitato dall’alta presenza di nitrati che finiscono ad inquinare la falda. L’uso di questi materiali per la produzione di biogas rende il prodotto finale più gestibile.

In alcuni casi al digestore vengono destinate materie prime vegetali, le cosiddette “colture energetiche”; spesso questo procedimento viene criticato, perché comporta che alcune piante che potrebbero sfamare animali o esseri umani vengono invece utilizzate per la produzione di biogas.

Sono in corso alcuni studi per la selezione di piante “da energia” di valore non alimentare, come l’Arundo donax, (la canna comune), una pianta molto resistente con poche esigenze e che può essere coltivata in terreni non utilizzabili per la produzione di cibo.

 

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