di Martina Difilo
In fondo allo scatolone rosso, Teddy, un orsetto di pezza, si scrollò un po’ di polvere di dosso. Non era facile muoversi in fondo alla scatolone, con le bambole sopra di lui che lo schiacciavano. Ma Teddy non sopportava di essere impolverato. Diede due lievi colpi di tosse e la bambola che con un ginocchio posava sulla sua pancia se ne lamentò.
In cima al mucchio di bambole, c’era Misty, l’unica bambola di cui ancora si poteva ricordare il nome, la più recente. Sovrastava le altre dieci, era stata acquistata di recente. Il giorno in cui fu comprata, Misty era emozionata: sapeva che da quel momento avrebbe ricevuto un amore incondizionato, che sarebbe durato per sempre. Ma Gloria, la bambina che dormiva in quella affollata cameretta, aveva giocato con Misty un solo pomeriggio, prima di posarla in cima alla pila delle bambole, nello scatolone. Annoiata e triste, Misty adorava osservare le macchinine poste sul piccolo comò di fronte a lei: erano venti, tutte colorate e facevano un gran baccano. Le macchinine erano lì da molto tempo prima di lei. Gloria frequentava ancora la scuola materna quando cominciò a collezionarle; ma quella collezione non la finì mai, perché dopo circa una settimana la sua passione era cambiata di nuovo.
Le macchinine, dalla loro, non erano molto tristi: in venti ci si poteva divertire sempre, tranne quando Gloria era in camera e dovevano osservarla giocare con il nuovo giocattolo di turno. Un giorno una bambola, un altro un puzzle, un altro ancora un peluche. Quello che le macchinine avevano notato in tutti questi anni, era che difficilmente Gloria giocava per due giorni consecutivi con lo stesso giocattolo. Non sapevano come funzionassero le cose al di fuori della porta della cameretta, ma vedevano Gloria rientrare ogni pomeriggio con un nuovo pacchetto da scartare, una scatola da aprire per spargerne il contenuto sul pavimento, giocarci per qualche ora e poi attendere che sua madre ritirasse nuovamente il tutto nella scatola, che veniva posata in un angolo per non essere guardata mai più.
A Gloria piaceva quella cameretta piena di giochi: era colorata, affollata e le sembrava che in qualunque momento avrebbe potuto giocare con qualunque cosa; le piaceva l’idea di possedere tutte quelle cose, l’idea che fossero tutte sue. Anche la sua mamma e il suo papà possedevano un sacco di cose, anche se le loro erano cose da grandi: telefonini, computer, macchine, elettrodomestici. A casa di Gloria era sempre tutto nuovo. Quando qualcosa si rompeva, non veniva mai aggiustato, ma sempre sostituito; la mamma spiegava a Gloria che c’è sempre un modello migliore di qualunque oggetto e quindi se si rompeva la macchina del caffè, ecco lì pronta quella nuova, ultimo modello, sempre il migliore. La casa di Gloria era la Casa dei Modelli Migliori.
Ogni tanto, però, Gloria sentiva una strana sensazione nella pancia; non avrebbe saputo dire cosa fosse, ma si presentava ogni volta che tornava indietro dal negozio dei giocattoli. Di fianco al posteggio del negozio, infatti, c’era un parco; ogni giorno, col suo nuovo gioco tra le mani, Gloria osservava dal finestrino i bambini giocare. La maggior parte giocavano tra di loro, ma molti erano lì per giocare con la loro mamma e il loro papà. I suoi preferiti erano quelli che giocavano con i loro genitori. Perché ogni giorno Gloria portava a casa un gioco nuovo e ogni giorno, nella sua cameretta, era sola a giocarci. I genitori di Gloria non avevano mai tempo di giocare con lei.
Così quei giocattoli, a cui non sapeva dare amore, erano diventati la sua famiglia. E li ammucchiava ed ammucchiava, sempre di più, e ogni tanto le sembrava che davvero potessero riempire il suo cuore.
Quando chiedeva alla mamma o al papà di giocare con lei, ogni volta la risposta era negativa, perché dovevano lavorare, perché c’era sempre qualcos’altro da fare. Così Gloria si era abituata al fatto che i bambini dovessero giocare da soli, che forse erano i genitori dei bambini del parco ad avere qualcosa di sbagliato, non i suoi. Non era colpa loro se dovevano lavorare; se non l’avessero fatto – dicevano- come avrebbero potuto comprare tutti quei giocattoli per Gloria e le cose utili per la casa? Papà non avrebbe potuto comprare di certo una macchina nuova tutti gli anni, se non avesse lavorato. E la mamma come avrebbe fatto senza un telefono cellulare nuovo? Avrebbe dovuto adeguarsi ai modelli meno nuovi?
Quindi Gloria si rassegnò al fatto che la sua famiglia sarebbero stati tutti quei giocattoli, attendendo il momento in cui sarebbe diventata grande abbastanza per cominciare anche lei a comprare le cose da grandi: si immaginava già con l’ultimo modello di smartphone, di tablet, con la sua macchina sempre nuova. Aveva capito, grazie alla mamma e la papà, che non esisteva niente al mondo che potesse rendere più felici di comprare qualcosa e non vedeva l’ora di poterlo fare anche lei.