Save the Children

Nutrire il pianeta, energia per la vita: quando lo slogan diventa necessità

Intervista a Giovanni Mautone, Pavillon Assistant del padiglione Save the Children in Expo 2015

Di Elisa Navarra

Nutrire il pianeta, energia per la vita. Negli ultimi mesi è diventato non solo slogan di Expo 2015, ma dell’intera Milano, Italia, mondo.

Ma quale significato si celi dietro queste sette parole, pochi dei turisti che ogni giorno sfilano sul Decumano se lo chiedono davvero. Attratti dallo spettacolo dei padiglioni di Giappone o Stati Uniti, viviamo sempre più l’Esposizione Universale come un grande parco giochi più che come momento di riflessione.

Queste almeno sono state le impressioni che mi ha dato il breve periodo di volontariato nel padiglione Save the Children in Expo. Un padiglione un po’ particolare, rispetto agli altri, che compensa le sue piccole dimensioni con l’enormità del messaggio che vuole lasciare al mondo. Un luogo che offre come assaggi informazioni, sensibilizzazione verso una realtà di cui è facile dimenticarsi.

Nutrire il pianeta, energia per la vita: tale slogan non potrebbe meglio adattarsi alla missione di Save the Children nel mondo.

Save the Children
Sala della Malnutrizione

Come è nato il progetto Save the Children Expo? Chi e come ha finanziato il Villaggio?

(Chiedo a Giovanni Mautone, Pavillon Assistant per Expo 2015)

 Save the Children è stata invitata, come le altre organizzazioni della società civile, a partecipare all’Esposizione Universale attraverso l’offerta gratuita di un lotto di terreno.

Dopo un’attenta valutazione, abbiamo deciso che l’offerta poteva rappresentare una preziosa opportunità per sensibilizzare un numero maggiore di persone sulle tematiche e sui progetti portati avanti da Save the Children, e inoltre poteva diventare un mezzo molto efficace di fidelizzazione verso nuovi sostenitori.

Quindi abbiamo rinnovato il concept di un progetto già esistente, il Villaggio Every One, e lo abbiamo arricchito e adattato alle esigenze del pubblico di Expo 2015.

Il lotto del terreno (800 metri quadri, ndr) ci è stato concesso gratuitamente mentre il costo della maggior parte dei beni e dei servizi presenti nel Villaggio è stato sostenuto da partner aziendali che ci hanno messo a disposizione materiali, consulenze e gestione dei servizi.

In un ambiente vasto e dispersivo come quello di Expo, attirare l’attenzione dei visitatori non è facile. Tuttavia, mi sento di dire che il padiglione Save the Children  abbia riscontrato parecchio successo. Quali erano le aspettative per le visite? Sono state soddisfatte?

Le aspettative sono state calcolate sulla base dei visitatori stimati in Expo secondo le previsioni dell’organizzatore. Se è vero che noi non offriamo assaggi di cibo o paesaggi da cartolina per invogliare il visitatore all’ingresso, è anche vero che i nostri contenuti sono in linea con la tematica di Expo: nutrire il pianeta, energia per la vita.

Attraverso i nostri progetti di contrasto alla malnutrizione infantile nei paesi del terzo mondo e di lotta alle emergenze in tutto il mondo, cerchiamo di spiegare al pubblico quanto sia semplice garantire cibo e cure mediche a tutta la popolazione mondiale, con particolare attenzione ai minori.

Direi che in questi primi due mesi siamo molto contenti del numero di persone che ha visitato il nostro padiglione: ma, come sempre, cerchiamo di raddoppiare il risultato per poterci considerare veramente soddisfatti del nostro impegno!

Sensibilizzare senza essere banali o poco convincenti non è facile, soprattutto con i più scettici. Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate in questi mesi? Quali i feedback positivi e negativi più significativi da parte dei visitatori?

Molte persone non vogliono entrare in padiglione perché disillusi dal fatto che esista un modo concreto per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni del terzo mondo, ma è qui che forse capiscono che le soluzioni sono semplici e a basso costo.

Fortunatamente ci sono molte più persone che dopo aver visitato il padiglione lasciano dei feedback molto significativi: un nuovo o maggiore interesse verso i nostri progetti, incoraggiamenti ad andare avanti, accompagnati da sostegno morale e soprattutto economico, oltre a un passaparola tra colleghi e vicini di casa che entrano nel nostro padiglione “perché mi è stato consigliato, e avevano ragione” sono quello che a fine giornata ci rende felici.

In particolare molti visitatori commentano la loro esperienza nel nostro padiglione dicendo che “il vero senso di questa manifestazione è racchiuso nel vostro impegno”.

Be the change, Save the children
“Be the change, Save the children”

Quale è stata la fascia di età che ha maggiormente preso parte alle visite guidate nel padiglione? Quanti conoscevano o già sostenevano le attività di Save the Children?

Nei primi due mesi, nella maggioranza delle visite guidate, prenotate o organizzate semplicemente percorrendo il Decumano, sono stati protagonisti i bambini: gruppi scolareschi in gita, oratori e scout oltre a famiglie organizzate in gruppo con i propri figli hanno animato maggiormente le nostre giornate.

Nella maggior parte dei casi i visitatori, sia minori che adulti, avevano sentito parlare almeno una volta di Save the Children, oppure conoscevano a grandi linee il nostro impegno, ma non avevano mai approfondito con cura.

Spesso vengono a visitare il padiglione anche i nostri sostenitori, che hanno un’adozione a distanza con noi oppure donano periodicamente attraverso il loro conto corrente. Per loro visitare il padiglione è un momento per aggiornarsi sui nuovi traguardi raggiunti, oppure per avere maggiori informazioni e momenti di contatto con il personale Save the Children, oppure per complimentarsi con noi perché sono soddisfatti del nostro operato.

Affrontare argomenti duri come la malnutrizione e, in generale, le emergenze nel mondo non è facile, soprattutto con i più piccoli. Come conciliare l’esigenza di informare con la delicatezza che un pubblico minorenne richiede?

Per soddisfare al meglio questa esigenza ci siamo serviti del supporto di uno dei nostri partner più affidabili: si tratta della cooperativa sociale EDI Onlus.

Grazie a loro, e all’impegno degli educatori che la cooperativa ha assunto e formato, siamo in grado di garantire a qualsiasi visitatore di qualsiasi età o estrazione sociale una visita soddisfacente, che trasmetta i contenuti del Villaggio in modo comprensibile, dettagliato e attento alle esigenze specifiche della persona.

Gli educatori infatti, oltre a modulare il loro approccio in base all’età del pubblico che li sta ascoltando, conoscono diverse lingue straniere e anche il linguaggio dei segni, per poter garantire anche ai non udenti una visita completa e “su misura”.

Inoltre, un supporto importante alle visite guidate lo danno i nostri volontari, che con le loro specifiche peculiarità sanno approcciarsi in maniera eccellente anche nei confronti dei bambini!

Parlando appunto di volontari: l’adesione al progetto è stata considerevole, soprattutto da parte dei giovanissimi. Come si è svolta la collaborazione con gli studenti coinvolti? Come è stato organizzato il lavoro?

Un immenso grazie va fatto sicuramente all’Associazione studentesca dell’Università Bocconi “Students for Humanity, che a seguito dell’accordo stretto con SC ha assunto un impegno veramente fuori dal comune: non solo gli associati hanno preso in gestione la turnazione del mese di Settembre, ma hanno raccolto così tante adesioni che le persone che non sono rientrate nel calendario di Settembre si sono spalmate, amalgamandosi con i volontari che si erano già fatti avanti in maniera autonoma, nei mesi di Giugno, Luglio, Agosto e anche Ottobre.

Poi un contributo importante lo hanno dato due istituti superiori milanesi, l’IISS Galilei-Luxemburg e la Sir James Henderson School di Milano, che grazie al supporto di molti dei loro studenti non hanno fatto altro che arricchire numericamente il nostro padiglione ma anche la nostra esperienza di coordinamento. Avere a che fare con adolescenti provenienti da diverse esperienze di vita, spesso bilingue e con tanta voglia di mettersi in gioco, è stata un’esperienza che ci ha lasciato veramente un grosso patrimonio umano.

I volontari hanno potuto dare la loro disponibilità, più o meno lunga in base ai loro impegni di studio o di lavoro, e il nostro compito è stato quello di incastrare al meglio la loro voglia di aiutarci con le nostre esigenze di persone in più a supporto della squadra fissa. Il risultato è di un’integrazione ricca di sfumature, che in molti casi crea un legame affettivo per cui il volontario al termine del suo periodo di servizio è quasi triste nel doverci lasciare, e anche noi percepiamo la mancanza di una persona importante nello staff.

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