Dal 9 al 28 giugno presso lo spazio espositivo della stazione Repubblica, Artepassante ospita due artisti, nonché docenti, di particolare rilevanza nel mondo artistico-culturale milanese e internazionale: Fernando De Filippi e Nicole Gravier, due stili molto diversi a contatto, in un’interessante alternarsi di concetti e simboli.
Fernando De Filippi, nato nel 1940, ha origini leccesi e una lunga carriera alle spalle. Appassionato d’arte fin da giovanissimo, approfondisce lo studio pittorico prima nel liceo locale poi, dopo una breve tappa parigina, a Milano dove frequenta i corsi di pittura e di scenografia presso l’Accademia di Brera. Al conseguimento del diploma nel 1964, si succedono diversi incarichi come docente che lo porteranno a ricoprire il ruolo di direttore della stessa Accademia dal 1991 al 2009. Altrettanto numerose sono le mostre personali e le collaborazioni a cui l’artista partecipa negli anni. Le sue opere variano nella tipologia e nelle tematiche andando dall’installazione alla pittura, dall’ispirazione classicheggiante alla figura di Lenin.
In occasione di questa esposizione De Filippi si rifà a una precedente opera di affissione da lui svolta in occasione della Biennale di Venezia nel 1978. Opera quindi di nuovo in questo senso, e affigge presso i passanti ferroviari un messaggio che è la condensazione di concetti presenti nel libro Il Capitale di Karl Marx:
“La produzione capitalistica è avversa a certi rami di produzione spirituale quali l’arte e la poesia”.
A proposito, l’artista dice:
Negli anni ’70 un gruppo di artisti ha cercato di lavorare uscendo dai circuiti, dai luoghi deputati alla comunicazione artistica tradizionale quali sono gallerie e musei, ricercando un rapporto con il pubblico spesso tramite un canale simile a quello della pubblicità. Da queste intenzioni nasce l’idea dei manifesti e di questo slogan, strumento di comunicazione veloce e immediata, che sintetizza il pensiero di Marx sul lavoro e sull’arte. Ho quindi deciso di usare il mezzo dello slogan con fini opposti a quelli convenzionali e pubblicitari, cioè non per vendere il caffè o la margarina, ma per comunicare. In questo caso comunicare pensieri sul lavoro, sul mondo del lavoro e sul concetto del plusvalore. Sorge, però, un problema: l’utenza nuova spesso non capisce cosa ha davanti, magari lo interpreta come una strana pubblicità, e le reazioni sono sempre diverse. Per essere comprese le opere devono rientrare nel ‘circuito’, essere nel contesto di un museo o di una galleria, e solo allora le opere acquistano un’identità, un autore, mentre dall’esterno questi aspetti non traspaiono. Si tratta di un limite nella comunicazione tra artista e fruitore, ma vale la pena provarci.
L’autore indica alcune opere che in un paio di gironi sono state completamente eliminate tanto forte è stata l’incomprensione, forse da parte del comune, di quest’arte. Poi continua:
Queste opere non rappresentano una merce, sono semplici manifesti appesi a disposizione del pubblico, è come un dono che fa l’artista. Nel momento in cui l’arte, che di per sé è sempre un dono, viene mercificata diventa un’altra cosa. Il problema è recuperare il concetto non solo di bellezza ma anche di comunicazione diretta senza tutte quelle che sono le infrastrutture, i problemi del mercato e tutto quello che ne consegue.
Se per Fernando De Filippi Passaggi è inteso come scambio e comunicazione, per Nicole Gravier si tratta di trasformazioni.
L’artista nasce nel 1949 ad Arles. Esordisce partecipando fin da giovanissima all’interno della ricerca post concettuale e al dibattito sull’utilizzo della fotografia e dei nuovi media come mezzo di rappresentazione. Il suo percorso artistico, incentrato prevalentemente sull’analisi dei nuovi miti e cliché generati all’interno della società dello spettacolo, si sviluppa negli anni ‘70 accanto alle esperienze della Narrative Art e di tutta la ricerca legata alla mitologia quotidiana. Studia diplomandosi all’Accademia di Aix en Provence e successivamente all’Accademia di Brera, in cui al momento insegna come docente. Durante la sua carriera artistica partecipa a numerose esposizioni, la sua arte gira non solo l’Europa ma anche Canada, Stati Uniti e più recentemente la Cina. I suoi ultimi lavori partono dalla reinterpretazione e dal dialogo con i simboli di diverse culture, creando immagini poetiche in un’estetica grafica molto particolare e personale, a partire da libri sacri quali: il Corano, la Bibbia, le antiche Poesie Persiane, e via dicendo.
In questa esposizione Nicole Gravier gioca con l’alchimia, l’esoterismo e la cosmologia, elaborando un precorso simbolico della trasformazione e del mutamento diventando “insieme Filosofo, Mago, Magister”.
Analizzo l’alchimia e i suoi diversi passaggi attraverso gli strumenti del mestiere; mi piace molto lavorare sugli strumenti e il loro significato simbolico, che siano pittorici o, come in questo caso, legati alla creatività. Si possono notare in queste mie opere il metro, la squadra e il compasso attraverso cui io rappresento le potenzialità creative, spirituali e simboliche degli oggetti che si collegano all’immaginazione dell’artista. Inoltre, qui ho lavorato sui simboli tradizionali dell’arte alchemica, sulle trasformazioni e le diverse fasi di evoluzione, ogni composizione ne rappresenta una in particolare. Ad esempio la colomba può rappresentare quella che io ho chiamato l’anima mundi, l’aspetto spirituale della natura, ed è un po’ come l’essenza dell’alchimia, che parte da aspetti terreni e materiali ma il cui scopo è arrivare a qualcosa di etereo e celeste; come la colomba, anche la pietra può essere spirituale.
Anche la sua produzione artistica precedente tratta di simbologie, come mai ne è così affascinata?
Dai testi sacri antichi appartenenti a culture diverse ho ricavato simboli indiani, cinesi, persiani, ecc. Anche in quel caso li ho ricollegati al discorso dell’evoluzione e della trasformazione, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti. Questo perché credo che i simboli siano una categoria universale e voglio dimostrare come la mente umana sia spesso in grado di trovare nelle simbologie di culture differenti qualcosa della propria. Io creo collegamenti tra le simbologie per poter portare un oggetto comune dal quotidiano all’universale.
Per una persona della sua generazione avere uno stile così grafico non è così comune.
Ecco, questo è un po’ la mia specialità. Io chiamo le mie composizioni piccole messe in scena; mi piace tenermi sull’essenziale, riducendo magari gli elementi al minimo e mettendoli in contrapposizione, in relazione o creando un’associazione figurativa immediata che racconti però sempre qualcosa. Così creo un certo simbolismo.
Vi è anche una forte armonia tra i colori che sceglie, a cosa si ispira?
In questo caso mi sono ispirata alla tavolozza dei cambiamenti alchemici che passa dal nero al bianco, al rosso e poi all’oro. Un po come i cambiamenti della materia in natura: dalla morte di un organismo può nascere un fiore che sboccerà rivelando un colore acceso, è il ciclo della vita. Per questo trovi questi colori ripetuti ciclicamente nella mia opera e nelle trasformazioni rappresentate. Un esempio è la piuma del corvo che diventa piuma di fenice, quindi da nera passa a rossa. Riprendo spesso questo concetto di trasformazione-evoluzione nei miei lavori, è una mia passione.
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