Cosa hanno in comune le scrofole “curate” dal tocco dei sovrani taumaturghi medievali e il sangue sul fazzoletto presagio di sventura nei romanzi ottocenteschi? La prima causa di morte da singolo agente infettivo e la settima in assoluto nel mondo. In Lombardia se ne registrano circa mille nuovi casi l’anno, ma è stata tanto diffusa da dare il nome a una branca autonoma della Medicina: la “tisiologia”.
La tubercolosi, una quarantina di anni fa, sembrava quasi debellata, almeno in Europa dove non aveva risparmiato scrittori come il russo Anton Chechov né personaggi di finzione, come la Violetta de “La Traviata” di Puccini, ed era stata la causa della costruzione di numerosi centri specializzati fuori città, come l’attuale ospedale Sacco di Milano.
Tuttavia movimenti migratori da paesi in cui è ancora endemica (anche per la scarsa possibilità di accesso ai costosi cocktail di antibiotici disponibili nei paesi più ricchi) stanno incremementando nuovamente i casi, accentuati anche dall’aumento di individui affetti da patologie immunodepressive come l’AIDS, terreno fertile per l’agente patogeno scatenate che in maniera “opportunista” si ritrova a non dover nenache fronteggiare le difese immuni del malato.
Il microrganismo scatenate è il mycobacterium tubercolosis, o bacillo di Koch (BK) dal nome del medico che, a fine ‘800 riuscì finalmente a identificarlo. Il nostro organismo non possiede difese specifiche contro il BK e perciò si ritrova a doverlo arginare, facendolo “mangiare” da cellule specializzate (macrofagi), che in seguito muoiono e/o vengono confinate in sistemi chiamati granulomi.
Questo sistema di confinamento, che avviene più spesso a livello dei polmoni a causa della conduzione prevalentemente aerea, può essere molto efficace in individui sani, ma basta un secondo contatto con un malato o uno squilibrio importante nella salute (come la già citata AIDS) per dar luogo ai tanto preoccupanti sintomi.
La tosse striata di sangue (emoftoe) è quel che può preoccupare di più il paziente e i primi operatori sanitari che lo visitano, tenuti ad autoproteggersi con delle mascherine. Ogni malato infatti, specialmente se presenta la cosiddetta forma “nodulare” (quella che più facilmente degenera in tisi) può arrivare a infettare (per mezzo di droplets, goccioline che fortunatamente non arrivano troppo lontano) anche 10 o 15 altre persone. Non tutte però, fortunatamente, manifesteranno la malattia: nella maggioranza dei casi può infatti esserci anche solo una infezione cosiddetta “primaria”, risolvibile e asintomatica o simile a una normale influenza. L’esposizione di questo tipo può essere verificata in seguito attraverso un test cutaneo (tubercolina) simile a quelli che si fanno per identificare allergie.
Fino all’avvento degli antibiotici, l’unica raccomandazione era l’assoluto riposo, magari in luoghi in cui l’aria era fresca, come le case di campagna di chi poteva permettersele. Per questo guarivano soprattutto le persone più abbienti e anche nei rari casi di avvenuta guarigione si tendeva a vergognarsene per timore di essere giudicati ancora pericolosi.
Oggi sintomi e segni sono soprattutto respiratori, ma i granulomi possono formarsi anche a livello intestinale. Alla tubercolosi dobbiamo infatti anche il divieto assoluto in Italia e in molti paesi di vendere latte non pastorizzato: esiste infatti una variante del micobacterium che può essere trasmesso da bovini a umani per via alimentare.
Anche le scrofole, fortunatamente, sono quasi sparite, non per opera sovrannaturale, ma grazie agli antibiotici: queste “croste” sono infatti un segno molto avanzato di malattia, coinvolgente i linfonodi del collo, visibile molto raramente e ormai solo in alcuni soggetti immunodepressi.