Il segreto dello scrivano

ìSe mettere in difficoltà la critica fosse una disciplina olimpica, Melville, con il suo racconto Bartleby lo scrivano, meriterebbe probabilmente l’oro.

Uscito nella raccolta I racconti della veranda (1856), è considerato tra i capolavori di Melville e della letteratura nordamericana in generale.

A narrarci la storia di questo singolare scrivano è il titolare di uno studio legale di Wall Street.

Dopo un’introduzione in toni da commedia al microcosmo dell’ufficio e ai personaggi che lo popolano, fa la sua comparsa Bartleby.

Il titolare, il narratore mai nominato, decide di ampliare l’attività dello studio assumendo un altro copista, risponde all’annuncio Bartleby, che un bel mattino compare sulla soglia dell’ufficio.

Rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta! Era Bartleby.

Barteby inizia il suo impiego da copista ma, quasi subito, dà mostra di quel suo tipico inspiegabile atteggiamento che porterà scompiglio (e sconcerto) nello studio legale.

Bartleby inizia a rifiutare le mansioni assegnate, più che rifiutare le declina, opponendo al suo datore di lavoro un mite ma fermo “avrei preferenza di no” (I would prefer not to).

Il narratore confuso tenta di persuadere il nuovo assunto, pretende delle spiegazioni ma ottiene solamente altri “I would prefer not to”.

Senza dare ragioni lo scrivano rifiuta sempre più mansioni fino a rifiutarsi di lavorare del tutto, restando una silenziosa presenza nell’ufficio che ormai è diventato la sua abitazione.

Il narratore decide di trasferire lo studio per fuggire da quella sinistra presenza, tuttavia, mosso da pietà per l’incolmabile solitudine dello scrivano, cerca di offrirgli tutto l’aiuto possibile ma Bartleby è chiuso nel silenzio e nel diniego.

Nelle sue parole non c’è nessuna superbia ma un rispettoso declinare, egli è insondabile perché non sembra celare alcun secondo fine.

I nuovi inquilini non sono altrettanto tolleranti e faranno infine arrestare Bartleby per vagabondaggio; ed è proprio nelle ultime pagine che il narratore ci porta a conoscenza di una rivelazione capace (in parte) di far luce sul passato di Bartleby, rivelazione che lascio volentieri alla lettura di chi vorrà cimentarsi in questo divertente e misterioso racconto.

Da anni schiere di critici si arrovellano per carpire il segreto dello scrivano, ovvero quale debba essere l’interpretazione corretta del racconto, a cosa abbia alluso Melville con questa bislacca parabola. Molti sono stati i tentativi, pochi i progressi.

Cosa Melville abbia voluto nascondere dietro il cortese diniego di Bartleby rimane un mistero.

E’ proprio il mistero a cui dà vita questo imperscrutabile personaggio a sedurre il lettore che, divorato dalla curiosità, si immerge nel racconto e, in combutta col narratore, tenta di comprendere Bartleby.

Il narratore ci fa complici della sua curiosità; è in gran parte imputabile a lui il tranello del tentativo d’interpretazione in cui inevitabilmente cade il lettore.

Bartleby ha sconvolto tutti, narratore, lettori e critici, che hanno cercato di afferrarlo, ma non ci sono riusciti.

E se mai qualcuno vi chiederà di spiegargli il senso di questo racconto, declinate con un cortese “avrei preferenza di no”.


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