Ormai siamo (o dovremmo essere) ben consapevoli di essere arrivati a un momento storico nel quale il nostro pianeta non può più sopportare le angherie dell’essere umano.
Secoli e secoli a sentirci dio, inquinando la nostra stessa aria e le nostre stesse acque, distruggendo la natura con indifferenza, soffocando i nostri mari e le nostre terre con tonnellate di plastica, uccidendo gratuitamente migliaia di animali per avere una bella pelliccia da sfoggiare, ci hanno portato a un punto di non ritorno.
È arrivato il momento di aprire gli occhi e cercare di curare un pianeta al quale ormai abbiamo sottratto troppo.
La moda da diversi anni ha fatto dei significativi passi avanti verso la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente, nonostante la sua impronta ecologica e il suo impatto ambientale siano stati molto significativi nel corso della storia.
Le aziende tessili ad esempio, sono tra le più dannose per la nostra atmosfera a causa degli agenti chimici e delle sostanze tossiche che rilasciano noncuranti dei nostri organismi. Per non parlare dell’incredibile e vergognoso mercato della pelliccia che, ancora trent’anni fa, riscuoteva un significativo successo tra le signorotte di alto ceto che volevano mostrarsi particolarmente facoltose alle spese di migliaia di poveri animali destinati a morti orribili.
Oggi (almeno nei paesi più sviluppati), si tende a prendere misure più serie per ridurre l’inquinamento delle fabbriche tessili (anche se bisognerebbe applicare controlli più severi), mentre il mercato della pelliccia è in forte declino grazie alla maggiore sensibilità dei giovani di oggi nei confronti della causa animalista.
La passione per il pianeta e l’interesse crescente per la sostenibilità degli ultimi anni hanno contribuito alla creazione di numerose startup, che con idee straordinariamente originali, hanno contribuito a rendere ecologico anche il mondo della moda senza nulla togliere alla bellezza e all’estetica dei prodotti.
Due ragazze di Catania: Adriana Santanocito ed Enrica Arena, hanno trovato il modo di creare veri e propri capi di vestiario con le bucce delle arance.
Avete capito bene, si tratta di Orange Fiber: il tessuto ecosostenibile fatto con gli scarti degli agrumi. Le due imprenditrici sono giunte a questa idea durante gli anni da coinquiline all’università, presso Milano. Ripensando alla loro bella Sicilia, hanno trovato il modo di contribuire alla soluzione di un problema molto sentito nella loro regione di origine: lo smaltimento degli scarti dell’industria agrumicola (che ammontano a oltre 700 mila tonnellate all’anno), con intelligenza e originalità.
I loro tessuti, grazie alle proprietà di cui sono investiti, sono in grado di rilasciare vitamina C sulla pelle rendendola più morbida e sana.
Per ottenere questo prodotto è necessario seguire un processo ben preciso: dagli scarti delle arance, cioè tutto quello che resta dopo la spremitura e la trasformazione, viene estratta la cellulosa atta alla filatura. Attraverso le nanotecnologie l’olio essenziale di agrumi viene incapsulato e fissato sui tessuti. Da qui, ha inizio un processo di rottura delle microcapsule presenti nel tessuto, in modo automatico e graduale.
Grazie ad Adriana ed Enrica possiamo avere non solo la soddisfazione di un bel capo d’abbigliamento, ma anche reali vantaggi fisici nell’indossarlo (resistenti fino a 20 lavaggi).
L’idea ha avuto grande successo e ha destato l’interesse non solo di Milano e Catania, ma anche di Rovereto, in Trentino, che ha deciso di cofinanziare il progetto.
Una sostenibilità tutta italiana, che ha i tratti e gli elementi tipici del nostro meraviglioso Paese, pur rispettandolo e contribuendo a migliorarlo.
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