di Francesca Tricomi
18 maggio 2015, Feltrinelli Milano, Piazza Duomo.
Marco Travaglio, insieme a Massimo Fini e Silvia Truzzi, ha presentato il suo nuovo libro “SLURP, Dizionario delle lingue italiane” edito da Chiarelettere. Il cosiddetto lettore intendente, cioè colui che si informa e non scappa dalla realtà dei fatti, comprende subito il gioco di parole che si trova già nel titolo: la parola onomatopeica SLURP richiama il rumore che produce la lingua quando è poggiata su una superficie liscia, spesso curvilinea: “il culo o i culi dei potenti”; Dizionario delle lingue italiane, sta ad indicare i molteplici “giornalisti” italiani di mestiere e non di spirito che leccano culi rossi e culi verdi per rimanere incollati al più forte.
In questo libro sono racchiuse tutte le citazioni raccolte dal neo-direttore del Fatto Quotidiano negli ultimi anni dei personaggi da “Oscar Leccatori” che non hanno fatto altro che agire da ruffiani, ingannatori e lusinghieri. Fa quindi un paragone con Dante che denuncia, già nel ‘200, il comportamento degli adulatori che commettono un grave peccato, più dell’omicidio, infatti vengono posti nell’ottavo cerchio dell’Inferno: il contrappasso che spettava agli adulatori era quello di essere immersi fino ai capelli “in un lago di sterco che pare lo scarico di tutte le fogne del mondo”.
Oltre aver presentato il libro tra risate e sbeffeggi, Marco e gli altri ospiti hanno chiuso la presentazione lanciando un messaggio molto importante a lettori e non: il lavoro del giornalista non è semplice, perché per prima cosa bisogna scegliere il proprio capo che è il lettore; in secondo luogo bisogna far capire che non sempre quando si mette in dubbio una questione si è dalla parte del torto, perché è giusto valutare tutte le ipotesi prima di dare un giudizio affrettato. Infine hanno insistito sul fatto che i veri giornalisti non lavorano soltanto per percepire uno stipendio, ma per fare informazione alla quale la gente crede. Bisogna farla bene, è indispensabile mantenere la verità dei fatti e non stancarsi mai di cercarla e ripeterla, perché i ragazzi oggi hanno bisogno degli stessi modelli a cui si è ispirata la generazione precedente di giornalisti.
Dopo la firma delle innumerevoli copie già vendute, Marco ha accettato la mia richiesta di una semplice intervista.
“Un giornalista viene considerato tale per il suo spirito di ricerca per la verità dei fatti o perché semplicemente è iscritto all’ordine dei giornalisti?”
“Eh, purtroppo è così, un giornalista viene preso in considerazione perché è iscritto all’ordine: chiunque sia iscritto a questa istituzione risulta abilitato a scrivere su un giornale, ma vero è che non tutti sono in grado di farlo. Ad esempio, l’ufficio stampa. Fa il contrario del giornalista, perché non fa comunicazione ma cerca di vendere il prodotto di chi lo comanda, e viene scambiato per giornalista. Per questo motivo il sistema salta, per una confusione di definizione.”
“Consiglierebbe la strada di giornalista ad un ragazzo? Perché?”
“Sì, certo” afferma con convinzione. “ Anche se è sempre più difficile, perché è una categoria in crisi di cui fanno parte molti disoccupati e cassaintegrati. Nonostante questo, rimane il mestiere più bello del mondo, se fatto con passione e non rivolto verso altri scopi. Infatti rimane un impiego virtuoso se vengono seguiti modelli di grande ispirazione, come Montanelli, Biagi. I libri servono anche a questo: farsi ispirare dai grandi che purtroppo non ci sono più, o che per lo meno noi del Fatto cerchiamo di portare avanti.
“Perché i soldi valgono più delle idee?”
Sorride e incalza: “I giornali dovrebbero avere a che fare con le idee, ma non disprezzare i soldi, perché all’interno di un giornale si è responsabili a chi dai un lavoro, perché bisogna pensare che una redazione non sta in piedi senza giornalisti, che devono essere pagati per il loro lavoro. È necessario che ci sia equilibrio tra soldi ed idee perché bisogna fare in modo che le nostre idee facciano profitto. Prima delle idee arrivano le notizie, poi l’analisi e poi le idee che devono vendere sul mercato per aumentare le vendite e di conseguenza il profitto interno. A maggior ragione un giornale che si forma e si fa da solo come il Fatto Quotidiano, che è in piedi grazie al sostegno economico privato di ogni singolo giornalista. Certo è che se il rapporto è sfalsato le idee non valgono più.
“Rizzoli e Mondadori: come vede il rapporto tra editore, lettore e scrittore se si dovessero unire?”
“Beh, diciamo che l’unione tra Rizzoli e Mondadori potrebbe creare una concentrazione editoriale di pochi soggetti ma di grande potere che diventerebbe molto pericoloso. Innanzitutto l’unione di queste due case editrici cambierebbe il rapporto tra editore e scrittore sia per il conflitto di interessi tra i due, sia per la diversificazione del pubblico; di conseguenza potrebbe accadere che gli autori siano condizionati dalle imposizioni dell’editore per mantenere alte le vendite. Alla fine l’editore non è altro che un finanziere che tiene nelle sue mani banche e aziende e che sa gestire quindi il mercato finanziario. Però, sui libri l’autore ha una forza maggiore dell’editore rispetto alla forza del giornalista sull’editore del giornale. Se i libri di uno scrittore riscuotono grande successo e quindi aumentano le tirature con conseguente aumento del pubblico, l’editore ha due strade tra cui scegliere: continuare a pubblicare i libri di quell’autore che garantisce vendite sicure oppure cacciarlo per le sue idee. Introiti?
Mondadori si tiene stretti tutti i suoi autori, è difficile rinunciare a Camilleri che scrive romanzi gialli, ma è più facile abbandonare scrittori come Saviano che stava su una diversa lunghezza d’onda a causa delle sue posizioni politiche. Inoltre la qualità dei libri non corrisponde mai alla quantità delle loro vendite, quindi bisogna far attenzione ai calcoli con i quali un libro viene esposto in vetrina e poi venduto.”
Credits immagine: Jaqen (Niccolò Caranti)