Di recente ha fatto parlare molto di sé Birdman, il film di Iñarritu, girato simulando un unico piano-sequenza. Stessa idea la ebbe Hitchcock molto tempo prima durante la progettazione di Nodo alla gola (Rope), così che durante il film non si possono notare stacchi da una scena all’altra, essendo stati tutti sapientemente camuffati. Bisogna aggiungere che fu anche il primo film che il regista girava a colori, nonché quello che sancì il felice connubio tra lui e James Stuart: conveniamo di essere in una fase ancora di sperimentazione. Il “maestro” infatti, questa volta, delude le nostre aspettative di “brivido”.
La storia si svolge per intero in un appartamento, più precisamente nel salone. Due ragazzi uccidono un loro amico dopo una discussione e ne nascondono il cadavere dentro ad una credenza antica, sulla quale imbandiscono il buffet per gli invitati della serata, tra i quali figurano il padre e la fidanzata del morto. James Stuart, nelle veci del vecchio istitutore dei due uomini, svolge il ruolo di ispettore di polizia, smascherando a fine serata – tornato nella casa con una scusa – i due complici.
Procedendo nella visione del film, si capisce che il vero motivo del delitto è una teoria filosofica che Brandon (il più autoritario dei due ragazzi) dice di aver appreso dal suo antico maestro. Questo antico maestro, però, non sembra aver elaborato niente di sorprendentemente nuovo, dato che già Raskolnikov si era scervellato sulla validità di una teoria del genere per tutta la durata di Delitto e castigo: sono un Napoleone o un uomo comune? Mi è concesso uccidere, ergermi al di sopra del bene e del male data la mia levatura intellettuale? Brandon ha già risposto a queste domande con un forte e chiaro “sì”. Questo non fa certamente di lui un personaggio Dostoevskijano. Ma non è tutto sul suo conto: la sua perversione arriva al punto che dopo aver attuato le teorie filosofiche del maestro, vuole compiacersi della sua intelligenza di fronte a lui – come afferma il complice Philip nell’ubriachezza – facendo di tutto per permettergli di intuire il misfatto, convinto che potesse solo essere apprezzato.
Mi rendo conto che fino a questo punto la descrizione del film sembra avvincente e che possa venire voglia di guardarlo, magari appena finito questo brano – se fin qui ho fatto bene il mio lavoro. Ciò che non ho detto, ed è ciò che non rende questo film un capolavoro del “maestro”, è il modo in cui si dipana il filo della vicenda: nonostante la trama sia accattivante, lo svolgimento risulta lento e prevedibile. Ciò che rende unici i film della maturità di Hitchcock, è proprio il far incedere lo spettatore a tentoni, prendendolo di sorpresa a ogni cantone. L’unico punto in cui davvero mi son sentito colto alla sprovvista è il momento in cui Rupert (il vecchio istitutore), una volta tornato nell’appartamento dei due giovani, sembra insinuare chiaramente di sapere più di un semplice “qualcosa”. Così lo spettatore, che fin dalla prima scena del film è calato nella parte dei due assassini dal momento che sa come sia realmente andata la faccenda, entra in agitazione quando Rupert afferma che per tutta la sera non ha mai creduto realmente ai suoi sospetti, come lasciava intendere, ma che il fattore decisivo, l’elemento fatale che condanna i due giovani – che secondo Philip erano già compromessi fino al collo per l’andazzo della festa – non è altro che la rivoltella che per precauzione Brandon si è messo in tasca al secondo arrivo di Rupert e che questi aveva notato.
In quel momento e per la prima volta lo spettatore si sente realmente confuso, ingannato, e la tensione sale vertiginosamente. Ma non dura molto: quando Rupert apprende che il movente dell’omicidio non è altro che la sua teoria mal interpretata dal suo “seguace” inorridisce, creando per la prima volta un dubbio sul finale, che fin dall’inizio sembrava scontato. Si ucciderà lui rendendosi conto della potenza deviante delle sue idee? Si uccideranno tutti in una sorta di “triello” finale, in modo tale che i carnefici si trasformino in vittime, venendo così malamente beffati dal destino? Appena Rupert rincomincia a parlare, il film torna nei suoi binari e si porta alla sua naturale conclusione, cioè la scoperta dell’omicidio e le sirene della polizia in lontananza.
In questo film s’intravedono solo in nuce le caratteristiche del cinema di Hitchcock, che paiono solo abbozzate: “il maestro del brivido” deve ancora guadagnarsi questo nome.
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