Di Matias Gadaleta
Camminare, affrontare distanze enormi con la sola forza dei propri muscoli, percepire il cambiamento nella sua totalità: fatto di ambienti, clima, persone ,culture, società differenti. Da sempre l’uomo è affascinato da una cosa: la libertà, seppure nelle sue diverse sfaccettature.
E cosa c’è di più incredibilmente intriso di libertà di un viaggio. Sia chiaro, non di una semplice vacanza da turista, non della ricerca di un’impresa sportiva per tentare un record.
Molto di più. Camminare per conoscere, ma soprattutto per fermarsi a riflettere, per provare in qualche modo a rallentare il tempo. Si, proprio il tempo che l’avvento della tecnologia sembra aver accelerato in modo incredibile.
Trentamila chilometri, quattro continenti, sette anni in viaggio dall’Africa alla Terra del fuoco, a piedi. Per un totale di circa trenta milioni di passi sulle orme dei nostri antenati, con l’intento di ripercorrere il cammino di coloro che per primi andarono alla scoperta della Terra, 60.000 anni fa.
Out of eden walk, questo il nome del progetto in cui si è imbarcato Paul Salopek, giornalista e scrittore statunitense di 51 anni, due premi Pulitzer vinti, ex inviato di guerra e corrispondente dall’Africa.
Enorme scommessa realizzata con l’appoggio e il contributo di National Geographic Society.
Quello fu e rimane di gran lunga il viaggio più straordinario della storia. (…) Quei primi Homo Sapiens che si avventurarono fuori dal continente in cui erano nati ci hanno anche tramandato le caratteristiche che oggi consideriamo tipicamente umane: il linguaggio complesso, il pensiero astratto, la predisposizione per l’arte, il talento per l’innovazione tecnologica, la diversità genetica dei popoli che oggi abitano il pianeta. Sappiamo pochissimo di quei pionieri
Così Salopek commentava il motivo dal quale era scaturita l’idea di intraprendere quest’impresa in un articolo pubblicato nel Dicembre 2013 da «National Geographic».
Ha cominciato il suo viaggio da quello che definisce “il nostro chilometro zero”, il sito archeologico di Herto Bouri, nella Rift Valley africana, dove sono stati trovati i resti fossili di una delle più antiche specie di ominidi risalenti a 160.000 anni fa.
Accompagnato da guide locali e due dromedari ha seguito le antiche rotte delle carovane attraverso la depressione della Dancalia fino a raggiungere le coste di Gibuti, vicino al punto da cui i primi uomini si lasciarono alle spalle l’Africa. Da qui si è imbarcato per l’Arabia Saudita, dove è riuscito ad attraversare l’antico regno dell’Hegiaz, territorio che dal decimo secolo custodisce le città sacre di Medina e la Mecca, ma allo stesso tempo regione in cui di rado gli stranieri si avventurano a piedi.
Nel suo ultimo articolo su «National Geographic» del Dicembre 2014 Salopek, dopo aver visto “i panorami oceanici d’Arabia”, percorre la valle del Giordano fino a Gerusalemme e alla Cisgiordania, Da sempre terra di fede e conquista.
Giunto in Giordania, ha passato qualche notte nei campi irrigati di As Safi dove sono presenti le tendopoli allestite dall’ONU per i profughi siriani. Qui ha assistito alla triste realtà di persone costrette a lasciare la propria patria per sfuggire alla guerra e che ora, per sopravvivere, raccolgono pomodori per meno di 10 euro al giorno.
Nello zaino oltre a cibo, acqua e attrezzatura di vario genere, il giornalista ha un telefono satellitare e un computer portatile. Colonna portante del suo viaggio è il cosiddetto Slow Journalism, filosofia di pensiero che predilige la qualità di scrittura e un alto tasso di approfondimento, caratteristici di reportage a lungo termine, rispetto alla tempestività delle Breaking News.
Sul sito Outofedenwalk.com è possibile seguire il viaggio su una mappa in tempo reale. Le ultime novità ci dicono che il giornalista americano dopo ormai più di due anni di viaggio ora si trova in Georgia.
La pagina più suggestiva del sito è quella che si chiama Milestones, Pietre miliari.
Ogni 100 miglia Salopek si ferma, scatta una foto alla terra e al cielo, registra una breve clip audio o video dell’ambiente circostante, e rivolge tre domande standard alla persona più vicina.
Con il passare degli anni dovrebbe diventare un importante diario di bordo fatto di istantanee sul mondo e sull’umanità, registrando così i cambiamenti sociali che si susseguiranno fino al 2020, anno d’arrivo alla meta finale secondo i programmi. Il primo intervistato è stato Idoli Mohamed, pastore Afar di Herto Bouri.
Non è certamente un percorso facile, ma a chi lo accusa di pazzia, Paul Salopek risponde che la scelta di andare in giro per il mondo non ha lo scopo di entrare nei Guinnes, è invece convinto che “andando più piano” il suo lavoro potrà migliorare avendo così più storie significative e affascinanti da raccontare.