Legàmi: Reggiseni bruciati e giacche da donna: la rivoluzione si fa a colpi di pantaloni

di Isabella Poretti

Anni e anni di lotte femministe, che ancora siamo ben lontane dal concludere, si riflettono in ogni piccola azione che facciamo ogni giorno. Il nostro modo di vestire, specialmente nel corso dell’ultimo secolo, si è trasformato da incrollabile baluardo di identificazione di genere ad affermazione di indipendenza e parità nei confronti dell’uomo.

Oggi indossiamo pantaloni, guidiamo automobili, votiamo e possiamo scegliere di andare al lavoro senza essere costrette a stare in casa per “badare alla prole”. Gesti quotidiani, gesti che troppo spesso diamo per scontati, non soffermandoci mai a pensare a quante meravigliose donne coraggiose e forti abbiano lottato per questi diritti.

La moda ha avuto un ruolo centrale in tutte queste conquiste liberandosi per una volta della sua veste frivola e meramente estetizzante.

Il vestiario, l’abbigliamento, era utilizzato fin dalle origini dei movimenti femministi come strumento di provocazione e ribellione dai ruoli che erano stati imposti alla donna dalla società senza possibilità di replica.

Sfilarsi un guanto al momento sbagliato tempo fa era considerato segno di impudicizia, ma quando le suffragette capirono la portata del potere di scandalizzare, questo fu solo il primo di moltissimi gesti provocatori che le donne si apprestarono a fare: andare in bicicletta, indossare pantaloni, scendere in piazza a manifestare.

Con un salto temporale negli anni 70’ possiamo individuare un altro indumento che si è prestato alle proteste femministe: il reggiseno. Le nostre manifestanti infatti facevano veri e propri roghi di reggiseni nelle piazze per simboleggiare l’affermazione della propria libertà sessuale e del proprio rifiuto del restrittivo ruolo di moglie e madre impostogli dalla società.

Oggi la moda continua a conservare una posizione di rilievo nell’eliminazione della discriminazione di genere: si tende infatti a ricercare uno stile unisex, che sia abbastanza versatile da estendersi sia all’uomo che alla donna. Gli stilisti hanno ricercato forme, tagli, adattamenti proprio per eliminare la tanto detestata differenza di genere: la donna ora può indossare per il lavoro giacca, camicia e pantaloni esattamente come un uomo, apparire seria e professionale con un elegante tailleur, imponendo la sua grandezza e la sua ecletticità nel mondo. Negli ultimi anni perfino all’uomo è stata data la possibilità di “mettersi nei panni” della donna tramite la creazione della gonna maschile.

Anche la scelta delle modelle per le sfilate è volta alla ricerca della ragazza androgina e anoressica in modo tale da ridurre ulteriormente al minimo dal punto di vista biologico le differenze di genere.

Non indossiamo più solo e soltanto gonnelloni anni ’50, e nessuno si scandalizza più se mostriamo in pubblico una caviglia nuda, ma non dobbiamo mai dimenticarci quanto sia straordinario poter vivere in un mondo che sta prendendo le misure della donna.

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