Io appartengo a chiunque, ma ne sono fuori. Ho deciso a un certo punto che sarebbe stato più comodo per me e più funzionale per tutti, starne fuori. Sono riuscita a ricongiungere tutti i miei pezzettini invisibili che avevo sparso con cura nei cervelli e mi sono ricomposta: un magma denso e trasparente, come gelatina, ma liquido.
Non è stato semplice ricrearmi, dopo che per tanto tempo ero stata separata da me stessa, divisa, moltiplicata: in ogni parte il mio tutto, ma un tutto mancante in ogni parte.
Però ne è valsa la pena, decisamente. Adesso che sono fuori, nello spazio tra una persona e l’altra, posso agire meglio e lavorare con più cura e attenzione, svolgendo il mio compito senza danni.
Lo spazio tra le persone è un pieno, solo che nessuno se ne accorge. Io lo riempio, con tutta me stessa, con il mio corpo morbido, avvolgente e tiepido. Mi dispiace infinitamente per tutti quelli che non lo sentono, che percepiscono solo il freddo del vuoto intorno. Come se io non ci fossi, gli esseri umani sono convinti di vivere dentro a delle bolle gelide, resistenti anche se invisibili, e piangono, quasi tutti, senza farsi vedere mentre sono terrorizzati, e hanno paura e credono che anche urlando, nessuno sentirebbe il loro dolore. Si chiudono, gli esseri umani, implodono silenziosamente… solo che si vede dagli occhi che sono tristi; nelle pupille le loro esplosioni interne trovano uno sfogo, luccicando. Tutti lo sanno e nessuno si aiuta, a spegnersi i fuochi a vicenda, ad abbracciarsi quando sono incompleti.
Si percepiscono così: persi e dispersi, circondati dal nulla solido che non permette di raggiungere l’altro, l’altro essere umano che sembra così vicino e irraggiungibile. Gridano tutti con gli occhi, richieste d’aiuto silenziose: si guardano da pochi millimetri di distanza ma non riescono a riempirsi, non riescono a completarsi.
Io che so che non è così, me ne dispiaccio immensamente. Lo spazio tra loro non è vuoto, non è vuoto perché sono io, lo spazio tra le persone. Io sono quello che tutti chiamano “l’inconscio collettivo” e mi viene da ridere ogni volta in cui vengo tirata in ballo, come se fossi maschile. Io sono femmina. Cosa potrà mai cambiare? Tutto e niente, però è una precisazione necessaria.
Insomma, non lo sono sempre stata, femmina. Prima, quando ero a pezzettini, ero maschio. Sì, posso capire che sia strano, ma mi spiego: prima ero ovunque, dentro; ora sono ovunque, fuori. Uomo è interno, donna è intorno. Quando ero sparsa nei cervelli, influivo sul modo di pensare della gente dal basso, adesso li abbraccio tutti e li contengo, come materiale plasmabile li accolgo nel mio corpo unico: sono donna. È che nessuno lo può capire perché per loro non è cambiato molto.
Si sentivano nudi e al freddo prima, si sentono spersi e isolati ora, per quanto io non faccia altro che suggerire a ognuno di loro distintamente e continuamente che ci sono io, a connetterli, a collegarli con mille pensieri condivisi, insieme nello stesso istante.
Comunque ci sono, dei momenti di luce. Capita a tutti in piccoli secondi di sentirmi; di sentire me che sono unica, di sentire attraverso di me che è possibile davvero, abbracciare il tutto di un altro essere umano; che si può smettere di lacrimare e percepire tutto il pieno del tempo e dello spazio riempito dai loro pensieri comuni: da me. Da me che li faccio continuamente dondolare come una madre che non si stanca mai di sussurrare ninnananne sulla pelle del suo bambino.
L’incontro è possibile. È possibile nel punto dove finisce il tempo personale e comincia il tempo degli altri. Per questo sono diventata femmina e femmina è un po’ meglio. Perché offro a tutti una possibilità di incontro, dal di fuori, al di dentro.
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