Non se ne conoscono né nome né fattezze né motivazioni, ma la donna che qualche giorno fa ha deciso di donare uno dei suoi due reni, senza conoscerne il destinatario, è stata acclamata dalla stampa come una eroina. Questa sua decisione, che da Pavia ha causato il trasporto del suo organo sino a Siena, ha potuto salvare non solo la vita del ricevente, ma anche decine di altre persone. Si è infatti innescata così una catena di donazioni (cross-donations) da parte di parenti e amici non compatibili con il ricevente, ma con altri sconosciuti malati. Quest’ultima è una pratica comune negli Stati Uniti: chi sarebbe disposto a sottoporsi a una operazione per il bene di un proprio caro, può farlo anche pur sapendo che non sarà il proprio organo a salvarlo, purché qualcuno lo faccia.
I rischi di un’operazione simile sono presentati come bassi nell’immediato (come possono essere i rischi di una qualsiasi operazione chirurgica invasiva) ma bisogna tener conto con molta attenzione dello stato di salute del donatore: ai reni infatti arriva, a ogni battito, il 20% circa del sangue della circolazione sistemica, che deve essere filtrato per liberarsi di numerose sostanze altrimenti tossiche per l’organismo.
La cosa incredibile sembra essere il fatto che, in caso di malfunzionamento o asportazione di uno intero dei due, l’altro sia in grado, se sano, di compensare totalmente questa perdita in poco tempo. La “samaritana” (così è stata chiamata la donatrice, secondo un modo di dire di origine cristiana, che riprende una famosa parabola del vangelo) è tornata a casa poco più di una settimana dopo l’intervento, rimanendo totalmente anonima. Dovrà tenersi lontana da alcuni fattori di rischio, come il fumo e una dieta ricca di colesterolo, ma sembra stare bene.
Un atto simile, tuttavia, non è stato legittimato solamente da test scientifici di compatibilità fra i tessuti. Non bastano una firma su un foglio di consenso informato e qualche esame, come per il sangue. A causa di invasività e irreversibilità, l’autorizzazione deve essere stata data anche da un pretore, che conosce bene la legge n. 458 del 26 giugno 1967:
“In deroga al divieto di cui all’art. 5 del Codice civile, è ammesso disporre a titolo gratuito del rene al fine del trapianto tra persone viventi. La deroga è consentita ai genitori, ai figli, ai fratelli germani o non germani del paziente che siano maggiorenni, purché siano rispettate le modalità previste dalla presente legge. Solo nel caso che il paziente non abbia i consanguinei di cui al precedente comma o nessuno di essi sia idoneo o disponibile, la deroga può essere consentita anche per altri parenti o per donatori estranei. […]”
Ben definiti sono anche i termini che regolamentano la donazione da pazienti deceduti. Sta tuttavia diventando più raro avere disponibilità di organi sani, poiché i casi di morte solo cerebrale sono in diminuzione. L’introduzione dell’obbligo dell’uso del casco ha infatti fortunatamente ridotto i casi di trauma cranico fatale in persone sane.
Vista anche questa situazione, sembra assurda oltre che fantascientifica l’idea del neurochirurgo torinese Sergio Canvanero, che afferma la possibilità di effettuare un “trapianto di testa” (o trapianto di corpo?), come soluzione a malattie neurodegenerative che attaccano i nervi periferici paralizzando. È di pochi giorni fa la notizia che ci sarebbe già un volontario, un russo affetto da una malattia rara, disposto a sottoporsi a tale pratica, effettuata su una scimmia nel 1970, con il deludente risultato di mantenuta paralisi e morte in nove giorni.
Sorgono ora numerose polemiche in proposito: se anche riuscisse (possibilità che pare remota basandosi sui dati sperimentali precedenti, temporaneamente riusciti solo su un topo), quale sarebbe il risultato di un’unione tanto particolare? La stampa già paragona questo dottore al mitico Frankenstein. Ancora non si sa quanto i soli recettori periferici possano effettivamente influire singolarmente sull’elaborazione cosciente degli stimoli esterni, né si conosce un possibile ruolo del sistema nervoso enterico (un sistema autonomo che regola i processi digestivi) nelle reazioni centrali. Sarebbe inoltre necessario un consenso “speciale” per questo utilizzo del corpo del deceduto? Sarebbero gli attuali donatori di organi ben disposti a cedere l’intero corpo? Non potrebbe sembrare una sorta di “spreco” di cuore, polmoni, reni e fegato in grado di salvare più persone?
La notizia è finita ugualmente sulle maggiori testate, commentata come se fosse già avvenuta, nonostante non ci siano ancora presupposti favorevoli, come l’approvazione di un Comitato Etico. Sempre che non si tratti di una bufala o di una trovata pubblicitaria…
FONTI
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CREDITI
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